Venere
Il sistema Tolemaico prevedeva che Venere si muovesse su un'epiciclo il cui centro era allineato con il Sole e la Terra; al contrario secondo la dottrina copernicana , Venere ruotava attorno al Sole, come la Terra. Nel primo caso, il pianeta avrebbe dovuto apparire sempre come una falce, mai mostrando l'intero disco illuminato. Il 5 dicembre 1610 Benedetto Castelli da Brescia scrisse a Galileo a Firenze chiedendogli se avesse osservato le fasi di Venere e Marte, per confermare la teoria di Copernico.
Castelli a Galilei, 5 dicembre 1610, {L-00089} I02095 I04162 D16101205 p. 481 ➤ Essendo (come credo) vera la posizione di Copernico, che Venere giri intorno al sole, è chiaro che sarebbe necessario che fusse vista da noi alle volte cornuta, alle volte no, stando pure detto pianeta in pari remozioni dal sole, ogni volta però che la piccolezza dei corni e la effusione dei raggi non c'impedissero l'osservazione di questa differenza. Hora desidero saper da V.S. se lei, con l'aiuto dei suoi meravigliosi occhiali, ha notata simile apparenza, quale senza dubio sarà mezo sicuro di convincer qual si voglia ostinato ingegno. Simil cosa vo sospettando ancora di Marte circa il quadrato con il sole; non dico già di apparenza cornuta e non cornuta, ma almeno di semicircolare e più piena. |
Santini a Galileo, 4 dicembre 1610, {L-00088} I25787 I04162 D16101204 p. 479 ➤ avvertì che il Padre Clavio finalmente era riuscito ad osservare i satelliti di Giove (con un cannocchiale che lo stesso Santini aveva costruito, senza accennare di questo fatto a Galileo). A quell'epoca Brescia non disponeva di un servizio postale diretto con Firenze: un frate di Milano riceveva le lettere di Castelli e le inviava a Galileo a Firenze. Invece, Venezia possedeva un servizio postale diretto con Firenze e Roma, e forse la posta viaggiava da Venezia a Firenze in 6 giorni o forse meno. È possibile, quindi, che Galileo abbia ricevuto per prima la lettera di Santini. Galileo celò la scoperta con un anagramma, come per Saturno:
Galileo a Giuliano de' Medici, 11 dicembre 1610, {L-00090} I04162 I25629 D16101211 p. 483 ➤ Le lettere trasposte sono queste: ‘Hæc immatura a me iam frustra leguntur / o. y’.
Sto con desiderio attendendo la risposta a due mie scritte ultimamente a V.S. Ill.ma et Rev.ma, per sentire quello che haverà detto il S. Keplero della stravaganza di Saturno. In tanto gli mando la cifera di un altro particolare osservato da me nuovamente, il quale si tira dietro la decisione di grandissime controversie in astronomia, et in particolare contiene in sè un gagliardo argomento per la constituzione Pythagorea et Copernicana; et a suo tempo publicherò la deciferatione, et altri particolari.
Si noti che Galileo non fornì una sequenza di lettere disordinate, ma riuscì a comporre una frase solo in parte di senso compiuto; con un po' di fantasia, si può tentare di interpretarla: ‘queste cose immature sono già state lette invano da me’; oppure: ‘Queste, da me anticipate, sono ora raccolte in modo ingannevole’.
Venere allora era l'oggetto più brillante del cielo serale, e facilmente poteva attrarre l'attenzione dei Gesuiti; Galileo può essere stato spinto dalla lettura della lettera di Santini a mettere al sicuro la sua scoperta delle fasi (ammesso che fosse riuscito a leggerla). Il 30 dicembre 1610 Galileo descrisse le fasi di Venere a Cristoforo Clavio a Roma:
Venere allora era l'oggetto più brillante del cielo serale, e facilmente poteva attrarre l'attenzione dei Gesuiti; Galileo può essere stato spinto dalla lettura della lettera di Santini a mettere al sicuro la sua scoperta delle fasi (ammesso che fosse riuscito a leggerla). Il 30 dicembre 1610 Galileo descrisse le fasi di Venere a Cristoforo Clavio a Roma:
Galileo a Clavio, 30 dicembre 1610, {L-00091} I04162 I02387 D16101230 p. 499 ➤ In tanto non voglio celare a V.R. quello che osservato in Venere da 3 mesi in qua. Sappia dunque, come nel principio della sua apparizione vespertina la cominciai ad osservare et la veddi di figura rotonda, ma piccolissima: continuando poi le osservazioni, venne crescendo in mole notabilmente, et pur mantenendosi circolare, sin che, avvicinandosi alla maxima digressione, cominciò a diminuir dalla rotondità nella parte aversa al sole, et in pochi giorni si ridusse alla figura semicircolare; nella qual figura si è mantenuta un pezzo, ciò è sino che ha cominciato a ritirarsi verso il sole, allontanandosi pian piano dalla tangente: hora comincia a farsi notabilmente cornicolata, et così anderà assottigliandosi sin che si vedrà vespertina; et a suo tempo la vedremo mattutina, con le sue cornicelle sottilissime et averse al sole, le quali intorno alla massima digressione faranno mezzo cerchio, il quale manterranno inalterato per molti giorni. Passerà poi Venere dal mezzo cerchio al tutto tondo prestissimo; et poi per molti mesi la vedremo così interamente circolare, ma piccolina, sì che il suo diametro non sarà la 6a parte di quello che apparisce adesso. Io ho modo di vederla così netta, così schietta e così terminata, come vegghiamo l'istessa luna con l'occhio naturale; et la veggo adesso di diametro eguale al semidiametro della luna veduta con la vista semplice. Hora eccosi, Signor mio, chiariti come Venere (et indubitamente farà l'istesso Mercurio) va intorno al Sole, centro senza alcun dubbio delle massime rivoluzioni di tutti i pianeti; in oltre siamo certi come essi pianeti sono per sè tenebrosi et solo risplendono illustrati dal sole, il che non credo che occorra delle stelle fisse, per alcune mie osservazioni, et come questo sistema de i pianeti sta sicuramente in altra maniera di quello che si è comunemente tenuto: così nel determinare le grandezze delle stelle (trattone il sole e la luna) si sono presi errori, nella maggior parte de i pianeti et in tutte le fisse, di 3, 4, et 5 mila per cento, et più ancora.
Lo stesso 30 dicembre scrisse a Benedetto Castelli a Brescia, parlandogli anche di Marte:
Galileo a Castelli, 30 dicembre 1610, {L-00092} I04162 I02095 D16101230 p. 503 ➤ Sappia dunque che io, circa tre mesi fa, cominciai a osservar Venere con lo strumento, et la vidi di figura rotonda, et assai piccola; andò di giorno in giorno crescendo in mole, et mantenendo pur la medesima rotondità, sin che finalmente, venendo in assai gran lontananza dal sole, cominciò a sciemar dalla rotondità dalla parte orientale, et in pochi giorni si ridusse al mezo cerchio. In tale figura si è mantenuta molti giorni, ma però crescendo tuttavia in mole: hora comincia a farsi falcata, et sin che si vederà vespertina, anderà assotigliando le sue cornicelle, sin che svanirà: ma ritornando poi matutina, si vedrà con le corna sottilissime et pure averse al sole, et anderà crescendo verso il mezo cerchio sino alla sua massima digressione. Manterassi poi semicircolare per alquanti giorni, diminuendo però in mole; et poi dal mezo cerchio passerà al tutto tondo in pochi giorni, et quindi per molti mesi si vedrà, et Lucifero et Vesperugo, tutta tonda, ma piccoletta di mole. Le evidentissime conseguenze che di qui si traggono, sono a V.R.a notissime.
Quanto a Marte, non ardirei di affermare niente di certo; ma osservandolo da quattro mesi in qua, parmi che in questi ultimi giorni, sendo in mole a pena il terzo di quello che era il Settembre passato, si mostri da oriente alquanto scemo, se già l'affetto non m'inganna, il che non credo. Pure meglio si vedrà al principio di Febraio venturo, intorno al suo quadrato; se bene, per l'apparire egli così piccolo, difficilmente si distingue la sua figura, se sia perfetta rotonda o se manchi alcuna cosa.
Finalmente, Galileo scrisse a Giuliano de' Medici a Praga, comunicandogli la soluzione dell'anagramma:
Galileo a Giuliano de' Medici, 1 gennaio 1611, {L-00093} I04162 I25629 D16110101 p. 11 ➤ È tempo che io deciferi a V.S. Ill.ma e R.ma, et per lei al S. Keplero, le lettere trasposte, le quali alcune settimane sono gli inviai: è tempo, dico, già che sono interissimamente chiaro della verità del fatto, sì che non ci resta un minimo scrupolo o dubbio. Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendosi Venere vespertina, la cominciai ad osservare diligentemente con l'occhiale, per veder col senso stesso quello di che non dubitava l'intelletto. La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda, pulita e determinata, ma molto piccola: di tal figura si mantenne sino che cominciò ad avvicinarsi alla massima digressione, tutta via andò crescendo in mole. Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientale et aversa al sole, et in pochi giorni si ridusse ad essere un mezo cerchio perfettissimo; et tale si mantenne, senza punto alterarsi, sin che incominciò a ritirarsi verso il sole, allontanandosi dalla tangente. Ora va calando dal mezo cerchio e si mostra cornicolata, et anderà assottigliandosi sino all'occultazione, riducendosi allora con corna sottilissime; quindi, passando ad apparizione mattutina, la vedremo pur falcata et sottolissima, et con le corna averse al sole; anderà poi crescendo sino alla massima digressione, dove sarà semicircolare, et tale, senza alterarsi, si manterrà molti giorni; et poi dal mezo cerchio passerà poi al tutto tondo, et così rotonda si conserverà per diversi mesi. Ma è il suo diametro adesso circa cinque volte maggiore di quello che si mostrava nella sua prima apparizione vespertina: dalla quale mirabile esperienza haviamo sensata et certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbie tra' maggiori ingegni del mondo. L'una è, che i pianeti tutti sono di loro natura tenebrosi (accadendo anco a Mercurio l'istesso che a Venere): l'altra, che Venere necessariissimamente si volge intorno al sole, come anco Mercurio et tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da i Pittagorici, Copernico, Keplero et me, ma non sensatamente provata, come hora in Venere et in Mercurio. Haveranno dunque il Sig. Keplero et gli altri Copernicani da gloriarsi di havere creduto et filosofato bene, se bene ci è toccato, et ci è per toccare ancora, ad esser reputati dall'universalità de i filosofi in libris per poco intendenti et poco meno che stolti. Le parole dunque che mandai trasposte, et che dicevano ‘Haec immatura a me iam frustra leguntur o y’, ordinate ‘Cynthiae figuras aemulatur mater amorum’, ciò è che Venere imita le figure della Luna.
Il 4 febbraio 1611 Paolo Gualdo scrisse a Galileo una lettera spiritosa:
Paolo Gualdo a Galileo, 4 febbraio 1611, {L-00094} I25520 I04162 D16110204 p. 41 ➤ Io son in Padova, dove ho cominciato a divulgare la dechiaratione dell'enigma Venereo, con stupore di questi SS.ri filosofi, se bene si rendono più facili a credere questa osservatione, che non fecero quella delle Stelle Medicee: credo che si vergognino, e dubitino che tanto maggiore non appaia la loro ignoranza, overo ostinatione. Sinhora V.S. ha penetrato i secreti della Luna, di Venere, di Mercurio, di Giove e di Saturno: non veggo che ancora ella s'accosti al sole: sovvienle forsi il caso di Fetonte o d'Icaro, che l'uno e l'altro, per avvicinarsi troppo a quello, restorno malamente trattati. Mi piace anco vederla sinhora lontana dal furibondo Marte, tanto più doppo ch'ella s'è incominciata ad intricare con Venere sua favorita, acciò non li venisse qualche furore di gelosia, e li facesse qualche strano incontro.
Keplero a Galilei, 9 gennaio 1611, {L-00095} I06347 I04162 D16110109 p. 15 ➤ contiene numerosi tentativi di trovare la soluzione dell'anagramma (che non aveva ancora ricevuto):
Il 24 aprile 1611 i matematici del Collegio Romano scrissero a Roberto Bellarmino a Roma:
- Nam Iovem gyrari macula hem rufa testatur.
- Maculam rufam gyrari notavi etc.;
- Macula rufa in Iove est, gyratur mathem. etc.;
- Solem gyrari etc.;
- Firmamentum maculas haret gyratur a Iove etc.;
- Saturnum et Martem gyro maculae etc.;
- Mercurium flamma haurit etc.;
- Theatrum celeri gyratur fons avium etc.
Il 24 aprile 1611 i matematici del Collegio Romano scrissero a Roberto Bellarmino a Roma:
matematici a Bellarmino, 24 aprile 1611, {L-00096} I25820 D16110424 p. 93 ➤ ... è verissimo che Venere si scema et cresce come la luna: et havendola noi vista quasi piena, quando era vespertina, habbiamo osservato che a puoco a puoco andava mancando la parte illuminata, che sempre guardava il sole, diventando tutta via più cornicolata; et osservandola poi mattutina, dopo la congiontione col sole, l'habbiamo veduta cornicolata con la parte illuminata verso il sole. Et hora va sempre crescendo secondo il lume, et mancando secondo il diametro visuale.
Nell'ottobre 1983 un celebre studioso della scienza del XVII secolo, I13237 Richard Samuel Westfall (1924-1996), al meeting annuale della History of Science Society (Norwalk, Connecticut) si disse convinto che Galileo non solo avesse preso l'idea delle fasi di Venere da Castelli, ma addirittura non le avesse mai osservate prima; si era affrettato comunque a spedire l'anagramma per paura di perdere la priorità. Quindi, aveva sempre mentito affermando, nelle sue lettere, che aveva iniziato ad osservare il pianeta dalla fine di settembre.
Pochi credono a questa ricostruzione. Galilei si trasferì da Padova a Firenze all'inizio di settembre; dopo essersi sistemato nella sua nuova destinazione, è difficile credere che si sia lasciata sfuggire l'occasione di osservare Venere, che era l'oggetto più cospicuo del cielo. Un moderno telescopio gli avrebbe mostrato il pianeta in fase praticamente piena, smentendo in modo sicuro il sistema Tolemaico; tuttavia, a quell'epoca il diametro apparente di Venere era circa 1/4 di quello di Giove, e sicuramente il cannocchiale di Galileo non consentiva di dire nulla di sicuro sulla sua forma.
In novembre, il pianeta era notevolmente diminuito di fase e cresciuto di dimensioni; Galileo a Giuliano de' Medici, 13 novembre 1610, {L-00070} I04162 I25629 D16101113 p. 474 ➤ « Intorno a gl'altri pianeti non ci è novità alcuna. »
Invece, la fase di dicotomia fu raggiunta intorno al 15 dicembre, proprio all'epoca in cui fu composto l'anagramma; questo fatto dimostrava che Venere brillava di luce riflessa, ma la conferma dell'intero ciclo di fasi avrebbe richiesto ancora l'osservazione della falce. Galileo decise di non aspettare, e compose la frase cifrata, il cui significato (tale come si può approssimativamente tradurre) sembra proprio suggerire il suo stato d'animo: come fece notare Stillman Drake, non si limitò a dare una serie di lettere senza senso, ma si sforzò che comparissero parole di senso compiuto, fra cui ‘immatura’ e ‘frustra’. Alla fine dell'anno, la falce di Venere (con un diametro pari a 3/4 di quello di Giove) divenne evidente, e Galileo si sentì pronto a svelare il significato dell'anagramma. La sorprendente tesi di Westfall fu aggredita da I04398 Owen Gingerich e I03212 Stillman Drake, che gli fecero notare che Galileo non avrebbe potuto scordarsi di osservare l'oggetto più luminoso del cielo, dopo il Sole e la Luna. Westfall esclamò: "Really? But I am not an astronomer!" [Davvero? Ma io non sono un astronomo!]
Galileo dichiarò sempre che Mercurio certamente si comportava come Venere, ma sappiamo che il potere risolutivo del suo cannocchiale non gli avrebbe mai consentito una verifica diretta. Diversi anni dopo, nel libro "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (1632) lo affermò apertamente:
Pochi credono a questa ricostruzione. Galilei si trasferì da Padova a Firenze all'inizio di settembre; dopo essersi sistemato nella sua nuova destinazione, è difficile credere che si sia lasciata sfuggire l'occasione di osservare Venere, che era l'oggetto più cospicuo del cielo. Un moderno telescopio gli avrebbe mostrato il pianeta in fase praticamente piena, smentendo in modo sicuro il sistema Tolemaico; tuttavia, a quell'epoca il diametro apparente di Venere era circa 1/4 di quello di Giove, e sicuramente il cannocchiale di Galileo non consentiva di dire nulla di sicuro sulla sua forma.
In novembre, il pianeta era notevolmente diminuito di fase e cresciuto di dimensioni; Galileo a Giuliano de' Medici, 13 novembre 1610, {L-00070} I04162 I25629 D16101113 p. 474 ➤ « Intorno a gl'altri pianeti non ci è novità alcuna. »
Invece, la fase di dicotomia fu raggiunta intorno al 15 dicembre, proprio all'epoca in cui fu composto l'anagramma; questo fatto dimostrava che Venere brillava di luce riflessa, ma la conferma dell'intero ciclo di fasi avrebbe richiesto ancora l'osservazione della falce. Galileo decise di non aspettare, e compose la frase cifrata, il cui significato (tale come si può approssimativamente tradurre) sembra proprio suggerire il suo stato d'animo: come fece notare Stillman Drake, non si limitò a dare una serie di lettere senza senso, ma si sforzò che comparissero parole di senso compiuto, fra cui ‘immatura’ e ‘frustra’. Alla fine dell'anno, la falce di Venere (con un diametro pari a 3/4 di quello di Giove) divenne evidente, e Galileo si sentì pronto a svelare il significato dell'anagramma. La sorprendente tesi di Westfall fu aggredita da I04398 Owen Gingerich e I03212 Stillman Drake, che gli fecero notare che Galileo non avrebbe potuto scordarsi di osservare l'oggetto più luminoso del cielo, dopo il Sole e la Luna. Westfall esclamò: "Really? But I am not an astronomer!" [Davvero? Ma io non sono un astronomo!]
Galileo dichiarò sempre che Mercurio certamente si comportava come Venere, ma sappiamo che il potere risolutivo del suo cannocchiale non gli avrebbe mai consentito una verifica diretta. Diversi anni dopo, nel libro "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (1632) lo affermò apertamente:
{B-0368.00_.1632} p. 331 ➤ ... in Mercurio non si può fare osservazione di momento, per non si lasciar egli vedere se non nelle sue massime digressioni dal Sole, nelle quali le sue distanze dalla Terra sono insensibilmente disuguali, e però tali differenze inosservabili, come anche le mutazioni di figure, che assolutamente bisogna che seguano come in Venere; e quando lo vediamo, dovrebbe mostrarsi in figura di mezo cerchio, come fa Venere ancora nelle sue massime digressioni; ma il suo disco è tanto piccolo e'l suo splendore tanto vivace, per esser egli così vicino al Sole, che non basta la virtù del telescopio a radergli il crine, sì che egli apparisca tutto tosato.
Concludo dicendo che l'arma delle fasi di Venere si rivelò meno invincibile di quanto avesse sperato Galileo. Essa smontava l'ipotesi del sistema tolemaico, in cui i pianeti venivano fatti ruotare attorno alla Terra, ma non permetteva di scegliere fra il sistema copernicano e quello ticonico. Quest'ultimo, suggerito da I01496 Tycho Brahe, faceva ruotare i pianeti attorno al Sole, ma questo, insieme alla Luna, ruotava attorno alla Terra, fissa al centro dell'universo. Tale sistema eludeva ancora il punto fondamentale: la nostra Terra non è altro che un pianeta come tutti gli altri, in moto attorno al Sole.
Nettuno
{A-0081.0287_.5780.19800925-0311_0313} "Galileo's observations of Neptune", Nature (25.9.1980) ➤ pubblicò una lettera di I06699 Charles T. Kowal dell'Osservatorio di Mount Palomar e di Stillman Drake, che annunciava una clamorosa scoperta: Galileo osservò Nettuno casualmente nel dicembre 1612 e nel febbraio 1613, mentre era impegnato a tabulare le posizioni dei pianeti medicei! Seguì poi un articolo più esteso su Scientific American, 243, p. 74 (1980).
Kowal era impegnato nella ricerca di antiche osservazioni di Nettuno, perchè era rimasto colpito dal fatto che Lalande aveva registrato la posizione di Nettuno nel 1795, 51 anni prima della sua scoperta ufficiale, con una differenza di posizione di 7" rispetto al valore calcolato con le effemeridi disponibili nel 1980. L'errore era da imputare alle misure di Lalande, o c'era un difetto teorico nelle effemeridi? Sarebbe stato interessante trovare delle altre osservazioni pre-scoperta, ancora più antiche. Kowal si alleò con il grande esperto di ricerche storiche, Drake, e si avvalse dell'eccellente lavoro pubblicato da I26100 Steven C. Albers:
{A-0198.0057_.0003.19790300-0220_0222} "Mutual Occultations of Planets: 1557 to 2230", Sky and Telescope, pp. 220-222 ➤
Albers trovò che nel passato Nettuno era stato implicato in una occultazione due volte, sempre ad opera di Giove: 4 gennaio 1613, e 19 settembre 1702. Nel 1702 molti astronomi avevano osservato con precisione Giove, mentre nel 1613 probabilmente solo Galileo. Questo era il punto: l'astronomo pisano poteva essere stato in grado di osservare Nettuno quando era in vicinanza di Giove, e di segnarne la posizione con una precisone utilizzabile per gli studi moderni?
Kowal e Drake hanno cercarono di valutare la qualità delle osservazioni di Galileo. Il telescopio con cui osservò Nettuno doveva avere 18 ingrandimenti, un potere risolutivo di 10" ed un campo probabilmente di 17'. Il potere risolutivo è stato dedotto dalla loro indagine sulle misurazioni di Galileo e dall'esame di due telescopi e di un obiettivo che si presume siano stati di Galileo, conservati attualmente al Museo di Storia della Scienza di Firenze. Questo è il potere risolutivo massimo e poteva essere ottenuto solo osservando punti luminosi su campo buio. Per osservazioni compiute in prossimità di Giove, era ridotto notevolmente dalla luminosità del disco. Raramente Galileo riusciva a discernere un satellite finché esso era entro 25" dal bordo del pianeta. L'utilità delle osservazioni dipende anche dalla precisione dell'orario indicato. I tempi forniti da Galileo erano talvolta approssimativi, anche se un confronto fra le posizioni dei satelliti da lui indicate e i calcoli eseguiti sulla base di tavole moderne indicano che l'errore era generalmente entro i 15 minuti. E' più difficile rendersi conto di come Galileo compisse osservazioni angolari, cioè stime delle elongazioni dei satelliti. Solo dopo la morte di Galileo fu introdotto il micrometro a filo, che tuttavia può essere applicato solo a telescopi ad oculare convergente (kepleriani) che forniscono immagini reali; il cannocchiale di Galileo forniva un'immagine virtuale, alla quale non si poteva sovrapporre quella di un reticolo.
L'ultimo giorno di gennaio 1612, Galileo scrisse nei suoi appunti che aveva incominciato ad usare uno strumento per prendere gli intervalli e distanze: ➤ . Antonio Favaro I03705 ha trascritto l'appunto in latino, espandendo le numerose abbreviazioni:
Kowal era impegnato nella ricerca di antiche osservazioni di Nettuno, perchè era rimasto colpito dal fatto che Lalande aveva registrato la posizione di Nettuno nel 1795, 51 anni prima della sua scoperta ufficiale, con una differenza di posizione di 7" rispetto al valore calcolato con le effemeridi disponibili nel 1980. L'errore era da imputare alle misure di Lalande, o c'era un difetto teorico nelle effemeridi? Sarebbe stato interessante trovare delle altre osservazioni pre-scoperta, ancora più antiche. Kowal si alleò con il grande esperto di ricerche storiche, Drake, e si avvalse dell'eccellente lavoro pubblicato da I26100 Steven C. Albers:
{A-0198.0057_.0003.19790300-0220_0222} "Mutual Occultations of Planets: 1557 to 2230", Sky and Telescope, pp. 220-222 ➤
Albers trovò che nel passato Nettuno era stato implicato in una occultazione due volte, sempre ad opera di Giove: 4 gennaio 1613, e 19 settembre 1702. Nel 1702 molti astronomi avevano osservato con precisione Giove, mentre nel 1613 probabilmente solo Galileo. Questo era il punto: l'astronomo pisano poteva essere stato in grado di osservare Nettuno quando era in vicinanza di Giove, e di segnarne la posizione con una precisone utilizzabile per gli studi moderni?
Kowal e Drake hanno cercarono di valutare la qualità delle osservazioni di Galileo. Il telescopio con cui osservò Nettuno doveva avere 18 ingrandimenti, un potere risolutivo di 10" ed un campo probabilmente di 17'. Il potere risolutivo è stato dedotto dalla loro indagine sulle misurazioni di Galileo e dall'esame di due telescopi e di un obiettivo che si presume siano stati di Galileo, conservati attualmente al Museo di Storia della Scienza di Firenze. Questo è il potere risolutivo massimo e poteva essere ottenuto solo osservando punti luminosi su campo buio. Per osservazioni compiute in prossimità di Giove, era ridotto notevolmente dalla luminosità del disco. Raramente Galileo riusciva a discernere un satellite finché esso era entro 25" dal bordo del pianeta. L'utilità delle osservazioni dipende anche dalla precisione dell'orario indicato. I tempi forniti da Galileo erano talvolta approssimativi, anche se un confronto fra le posizioni dei satelliti da lui indicate e i calcoli eseguiti sulla base di tavole moderne indicano che l'errore era generalmente entro i 15 minuti. E' più difficile rendersi conto di come Galileo compisse osservazioni angolari, cioè stime delle elongazioni dei satelliti. Solo dopo la morte di Galileo fu introdotto il micrometro a filo, che tuttavia può essere applicato solo a telescopi ad oculare convergente (kepleriani) che forniscono immagini reali; il cannocchiale di Galileo forniva un'immagine virtuale, alla quale non si poteva sovrapporre quella di un reticolo.
L'ultimo giorno di gennaio 1612, Galileo scrisse nei suoi appunti che aveva incominciato ad usare uno strumento per prendere gli intervalli e distanze: ➤ . Antonio Favaro I03705 ha trascritto l'appunto in latino, espandendo le numerose abbreviazioni:
{B-0122.03b.1907} ➤ In hac 2a observatione primum usum sum instrumento ad intercapedines exacte accipiendas, ac distantiam orientalioris proxime accepi, non enim fuit instrumentum adhuc exactissime paratum.
Quella notte Galileo aveva iniziato ad usare uno strumento per ricavare gli intervalli e le distanze orientali, anche se non era ancora preparato perfettamente. Come era fatto quest'apparato?
I01360 G. A. Borelli lo menzionò nel 1666 in {B-0562.00_.1666} "Theoricae mediceorum planetarum ex causis physicis deductae", p. 141 segg, ➤, descrivendolo come un reticolo costruito con precisione su cui Galileo sovrapponeva otticamente l'immagine telescopica.
Drake e Kowal fecero quest'ipotesi: Galileo osservava un reticolo applicato esternamente al cannocchiale con l'occhio sinistro e guardava dentro l'oculare con l'occhio destro: l'immagine di Giove si sovrapponeva al reticolo, come un disegno su un foglio di carta quadrettata, ed era facile valutare le posizioni dei satelliti, ogni quadretto essendo largo come un diametro di Giove. Inoltre, con un calcolo trigonometrico, dalla distanza del reticolo dall'occhio, si poteva dedurre il diametro di Giove in secondi d'arco.
Secondo Drake e Kowal le misure del diametro apparente del disco di Giove realizzate da Galileo erano accresciute sistematicamente del 10%, perché le sue lenti attribuivano al pianeta un bordo sfocato; tenendo conto di tutte queste considerazioni, si accinsero a discutere le misure realizzate dall'astronomo nel 1612-1613, confrontandole con quelle delle effemeridi; ammisero un errore raramente superiore a 20", e spesso inferiore a 10".
In base alle effemeridi calcolate al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, Kowal e Drake trovarono che fra il 28 dicembre 1612 e il 30 gennaio 1613 Nettuno si sarebbe trovato entro il campo del telescopio di Galileo, qualora lo strumento fosse stato puntato esattamente su Giove. Aiutato da Drake, Kowal sfogliò le pagine di appunti di Galileo per quel periodo (riprodotte nell'Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, Firenze 1890-1909).
Nell'epoca in questione, Galileo era probabilmente ospite dell'amico I25636 Filippo Salviati alla Villa delle Selve a Signa, presso Firenze. Il 27 dicembre 1612 alle 15.46 a. m. (pari nella misurazione moderna al 28 dicembre 1612 alle 3.46 del mattino, perché allora si contavano le ore da mezzogiorno) Galileo disegnò le posizioni di Europa, Ganimede e Callisto in sorprendente accordo con le effemeridi del JPL, ed in più segnò una linea tratteggiata che andava a finire sul margine del foglio, dove scrisse "fixa" (stella fissa). La linea stava ad indicare che l'oggetto era visibile nel campo del telescopio, ma non si poteva fare stare dentro i margini del foglio, con una rappresentazione in scala p. 452 ➤
Più tardi nel mattino disegnò una configurazione analoga, ancora con la fixa segnalata fuori dal bordo del foglio. Secondo le effemeridi consultate da Kowal e Drake, Nettuno era vicino allo stato stazionario, con una magnitudine 7.8 facilmente alla portata dello strumento di Galileo, e inoltre si trovava nel prolungamento della linea tracciata da Galileo, ad una distanza di 41 raggi gioviani; anche se l'astronomo non segnò il suo valore della distanza, l'identificazione della fixa con Nettuno risultò attendibile, perché l'esame delle moderne carte stellari dimostrò che non c'era alcuna stella fissa osservabile dal cannocchiale in quella zona di cielo.
Dal 28 dicembre al 1° gennaio il cielo fu troppo coperto per consentire osservazioni attendibili; un appunto di Galileo del 29 dicembre fu cancellato, con la scritta "dubia ob nubes" (dubbia a causa delle nubi). Ma il 2 gennaio ritornò il sereno e a mezzanotte Galileo registrò una stella ad ovest e a nord di Giove a "48 semid. ♃" (pari a 52.8, ammettendo la correzione del 10%) p. 452 ➤.
Kowal e Drake l'anno identificata questa volta non con Nettuno, ma con la stella SAO 119234 di 7.1m (visuale) della Vergine, alla distanza di 52 raggi gioviani. Galileo si sforzò a misurare quella stella molto distante (ai limiti del campo visivo) probabilmente perché era alla caccia della fixa (Nettuno) segnata il 28 dicembre; stranamente, non la vide (era alla sua portata, vicino a Giove), ma ne vide un'altra. Per la prima ed unica volta (a conoscenza di Drake) Galileo si applicò ad uno studio delle stelle fisse superate da Giove nel suo moto apparente. Forse il cielo velato gli consentì solo una visione parziale, per cui non fu in grado di confermare l'avvistamento dell'astro che sappiamo essere Nettuno.
Dal 6 al 19 gennaio pare che il tempo abbia di nuovo impedito a Galileo di compiere osservazioni. Egli non potè vedere il cambiamento di direzione di Giove che dal 14 gennaio passò da diretto a retrogrado. Una settimana dopo il pianeta, che stava muovendosi verso nord oltre che verso ovest, raggiunse di nuovo Nettuno e la SAO119234, che ora si trovavano a sud del piano orbitale dei satelliti. Galileo riprese le osservazioni il 20 febbraio; il giorno 25 segnò la stella SAO119234 (in accordo con le effemeridi), ma ancora una volta non si accorse di Nettuno, che era alla sua portata, ma molto distante; proseguì a segnare la stella anche i giorni 26 e 27. Il 28 gennaio verso le 11 di notte Galileo segnò la posizione di Nettuno, realizzando un disegno complesso. p. 453 ➤
Per la prima volta nel suo taccuino, è indicata la "scala esatta" di 24 raggi gioviani [Haec est scala semidiametros 24 exacte sumpta], lunga circa 47 millimetri. Poi, al termine di una linea tratteggiata lunga 29 raggi gioviani (ovvero, con la correzione di Kowal e Drake, 32 raggi) c'è indicata una stella "a" con l'iscrizione: « Post stellam fixam a. alia in eadem linea sequebatur ita ut est b quae etiam praecedenti nocte observata fuit; sed videbantur remotiores inter se » [oltre alla stella fissa a ne seguiva un'altra sulla stessa linea, come qui c'è b, la quale fu osservata anche la notte precedente; ma sembravano più lontane fra loro]. A destra di questa iscrizione c'è il disegno della distanza reciproca di a e b, che si misura essere circa 3.75 raggi gioviani. Kowal e Drake trovarono che "a" era la stella SAO 119234, mentre "b" aveva una posizione molto simile a quella di Nettuno.
Secondo l'effemeride del JPL, fra il 27 e il 28 gennaio Nettuno si spostò di 2.5 raggi verso la stella SAO 119234, la sua distanza passando da 6.25 a 3.75 R. La cura con cui Galileo si dette a fare un disegno in scala di Nettuno contrasta con l'assenza di registrazioni delle due stelle nelle notti seguenti; forse ci furono problemi di visibilità. Passati quei giorni, Galileo perse la possibilità di ritrovare le stelle, perché non erano più contenute nello stesso campo visivo, insieme a Giove.
Secondo Kowal e Drake la stella "b" doveva essere certamente Nettuno, perché non esisteva alcun altro oggetto visibile in quella posizione; però nasceva un problema: i calcoli moderni davano una distanza di circa 2' fra il pianeta e la stella, mentre Galileo ne segnò una poco superiore a 1'. Secondo Kowal e Drake, la differenza è da giudicarsi una quantità abbastanza grande in termini astronomici, [e se l'errore non è tutto dalla parte delle misure], l'effemeride di Nettuno è sbagliata di una quantità notevole, il che potrebbe giustificare una revisione dei dati orbitali del pianeta e suggerisce l'esistenza di una perturbazione sconosciuta.
Queste conclusioni furono contestate, facendo notare che gli errori di Galileo rispetto alle effemeridi si verificavano solo in direzione radiale, come se tutto dipendesse dal fattore di scala, che Kowal e Drake avevano cercato di stimare, ma solo in modo approssimativo. Fra i critici ci fu I11779 Erland Myles Standish, del Jet Propulsion Laboratory, autorità nel calcolo delle effemeridi; circa dieci anni dopo, elaborando i dati della sonda Voyager 2, Standish si avvalse delle nuove misure delle masse planetarie per migliorare alquanto l'attendibilità delle effemeridi del JPL, e la loro concordanza con le osservazioni storiche.
Nel 1993 Earl Myles Standish con la collaborazione di I08990 Anna Maria Nobili riesaminò gli appunti di Galileo. In un disegno del 6 gennaio 1613 riscontrarono una macchiolina nera di forma irregolare, non evidenziata da nessuna scritta; la Nobili verificò al microscopio che si trattava di una macchia intenzionale d'inchiostro. Essa non appare nella riproduzione litografica del Vol. III (parte II) delle opere di Galileo, forse perché prima della stampa l'immagine fu ripulita dalle "impurità". Tale puntino appare trovarsi ad appena 15" dalla posizione teorica di Nettuno.
Si veda {A-0226.0006_.0001.19970000-0097_0104} "Galileo's Observations of Neptune", Baltic Astronomy, 6, (1997) ➤
In {A-0198.0075_.0002.19880200-0194_0194} "Galileo and Uranus", Sky and Telescope (febbraio 1988) I26024 Chet Raymo (Dept. Of Physics and Astronomy, Stonehill College, North Easton, Massachusetts) mostrò che Galileo solo per poco fallì di osservare anche Urano. All'inizio del 1610 i due pianeti distavano 3°, e all'inizio di febbraio la loro distanza era solo 1°59'. Purtroppo il cannocchiale di Galileo aveva un campo così piccolo che i due pianeti non poterono essere osservati insieme. ➤
I01360 G. A. Borelli lo menzionò nel 1666 in {B-0562.00_.1666} "Theoricae mediceorum planetarum ex causis physicis deductae", p. 141 segg, ➤, descrivendolo come un reticolo costruito con precisione su cui Galileo sovrapponeva otticamente l'immagine telescopica.
Drake e Kowal fecero quest'ipotesi: Galileo osservava un reticolo applicato esternamente al cannocchiale con l'occhio sinistro e guardava dentro l'oculare con l'occhio destro: l'immagine di Giove si sovrapponeva al reticolo, come un disegno su un foglio di carta quadrettata, ed era facile valutare le posizioni dei satelliti, ogni quadretto essendo largo come un diametro di Giove. Inoltre, con un calcolo trigonometrico, dalla distanza del reticolo dall'occhio, si poteva dedurre il diametro di Giove in secondi d'arco.
Secondo Drake e Kowal le misure del diametro apparente del disco di Giove realizzate da Galileo erano accresciute sistematicamente del 10%, perché le sue lenti attribuivano al pianeta un bordo sfocato; tenendo conto di tutte queste considerazioni, si accinsero a discutere le misure realizzate dall'astronomo nel 1612-1613, confrontandole con quelle delle effemeridi; ammisero un errore raramente superiore a 20", e spesso inferiore a 10".
In base alle effemeridi calcolate al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, Kowal e Drake trovarono che fra il 28 dicembre 1612 e il 30 gennaio 1613 Nettuno si sarebbe trovato entro il campo del telescopio di Galileo, qualora lo strumento fosse stato puntato esattamente su Giove. Aiutato da Drake, Kowal sfogliò le pagine di appunti di Galileo per quel periodo (riprodotte nell'Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, Firenze 1890-1909).
Nell'epoca in questione, Galileo era probabilmente ospite dell'amico I25636 Filippo Salviati alla Villa delle Selve a Signa, presso Firenze. Il 27 dicembre 1612 alle 15.46 a. m. (pari nella misurazione moderna al 28 dicembre 1612 alle 3.46 del mattino, perché allora si contavano le ore da mezzogiorno) Galileo disegnò le posizioni di Europa, Ganimede e Callisto in sorprendente accordo con le effemeridi del JPL, ed in più segnò una linea tratteggiata che andava a finire sul margine del foglio, dove scrisse "fixa" (stella fissa). La linea stava ad indicare che l'oggetto era visibile nel campo del telescopio, ma non si poteva fare stare dentro i margini del foglio, con una rappresentazione in scala p. 452 ➤
Più tardi nel mattino disegnò una configurazione analoga, ancora con la fixa segnalata fuori dal bordo del foglio. Secondo le effemeridi consultate da Kowal e Drake, Nettuno era vicino allo stato stazionario, con una magnitudine 7.8 facilmente alla portata dello strumento di Galileo, e inoltre si trovava nel prolungamento della linea tracciata da Galileo, ad una distanza di 41 raggi gioviani; anche se l'astronomo non segnò il suo valore della distanza, l'identificazione della fixa con Nettuno risultò attendibile, perché l'esame delle moderne carte stellari dimostrò che non c'era alcuna stella fissa osservabile dal cannocchiale in quella zona di cielo.
Dal 28 dicembre al 1° gennaio il cielo fu troppo coperto per consentire osservazioni attendibili; un appunto di Galileo del 29 dicembre fu cancellato, con la scritta "dubia ob nubes" (dubbia a causa delle nubi). Ma il 2 gennaio ritornò il sereno e a mezzanotte Galileo registrò una stella ad ovest e a nord di Giove a "48 semid. ♃" (pari a 52.8, ammettendo la correzione del 10%) p. 452 ➤.
Kowal e Drake l'anno identificata questa volta non con Nettuno, ma con la stella SAO 119234 di 7.1m (visuale) della Vergine, alla distanza di 52 raggi gioviani. Galileo si sforzò a misurare quella stella molto distante (ai limiti del campo visivo) probabilmente perché era alla caccia della fixa (Nettuno) segnata il 28 dicembre; stranamente, non la vide (era alla sua portata, vicino a Giove), ma ne vide un'altra. Per la prima ed unica volta (a conoscenza di Drake) Galileo si applicò ad uno studio delle stelle fisse superate da Giove nel suo moto apparente. Forse il cielo velato gli consentì solo una visione parziale, per cui non fu in grado di confermare l'avvistamento dell'astro che sappiamo essere Nettuno.
Dal 6 al 19 gennaio pare che il tempo abbia di nuovo impedito a Galileo di compiere osservazioni. Egli non potè vedere il cambiamento di direzione di Giove che dal 14 gennaio passò da diretto a retrogrado. Una settimana dopo il pianeta, che stava muovendosi verso nord oltre che verso ovest, raggiunse di nuovo Nettuno e la SAO119234, che ora si trovavano a sud del piano orbitale dei satelliti. Galileo riprese le osservazioni il 20 febbraio; il giorno 25 segnò la stella SAO119234 (in accordo con le effemeridi), ma ancora una volta non si accorse di Nettuno, che era alla sua portata, ma molto distante; proseguì a segnare la stella anche i giorni 26 e 27. Il 28 gennaio verso le 11 di notte Galileo segnò la posizione di Nettuno, realizzando un disegno complesso. p. 453 ➤
Per la prima volta nel suo taccuino, è indicata la "scala esatta" di 24 raggi gioviani [Haec est scala semidiametros 24 exacte sumpta], lunga circa 47 millimetri. Poi, al termine di una linea tratteggiata lunga 29 raggi gioviani (ovvero, con la correzione di Kowal e Drake, 32 raggi) c'è indicata una stella "a" con l'iscrizione: « Post stellam fixam a. alia in eadem linea sequebatur ita ut est b quae etiam praecedenti nocte observata fuit; sed videbantur remotiores inter se » [oltre alla stella fissa a ne seguiva un'altra sulla stessa linea, come qui c'è b, la quale fu osservata anche la notte precedente; ma sembravano più lontane fra loro]. A destra di questa iscrizione c'è il disegno della distanza reciproca di a e b, che si misura essere circa 3.75 raggi gioviani. Kowal e Drake trovarono che "a" era la stella SAO 119234, mentre "b" aveva una posizione molto simile a quella di Nettuno.
Secondo l'effemeride del JPL, fra il 27 e il 28 gennaio Nettuno si spostò di 2.5 raggi verso la stella SAO 119234, la sua distanza passando da 6.25 a 3.75 R. La cura con cui Galileo si dette a fare un disegno in scala di Nettuno contrasta con l'assenza di registrazioni delle due stelle nelle notti seguenti; forse ci furono problemi di visibilità. Passati quei giorni, Galileo perse la possibilità di ritrovare le stelle, perché non erano più contenute nello stesso campo visivo, insieme a Giove.
Secondo Kowal e Drake la stella "b" doveva essere certamente Nettuno, perché non esisteva alcun altro oggetto visibile in quella posizione; però nasceva un problema: i calcoli moderni davano una distanza di circa 2' fra il pianeta e la stella, mentre Galileo ne segnò una poco superiore a 1'. Secondo Kowal e Drake, la differenza è da giudicarsi una quantità abbastanza grande in termini astronomici, [e se l'errore non è tutto dalla parte delle misure], l'effemeride di Nettuno è sbagliata di una quantità notevole, il che potrebbe giustificare una revisione dei dati orbitali del pianeta e suggerisce l'esistenza di una perturbazione sconosciuta.
Queste conclusioni furono contestate, facendo notare che gli errori di Galileo rispetto alle effemeridi si verificavano solo in direzione radiale, come se tutto dipendesse dal fattore di scala, che Kowal e Drake avevano cercato di stimare, ma solo in modo approssimativo. Fra i critici ci fu I11779 Erland Myles Standish, del Jet Propulsion Laboratory, autorità nel calcolo delle effemeridi; circa dieci anni dopo, elaborando i dati della sonda Voyager 2, Standish si avvalse delle nuove misure delle masse planetarie per migliorare alquanto l'attendibilità delle effemeridi del JPL, e la loro concordanza con le osservazioni storiche.
Nel 1993 Earl Myles Standish con la collaborazione di I08990 Anna Maria Nobili riesaminò gli appunti di Galileo. In un disegno del 6 gennaio 1613 riscontrarono una macchiolina nera di forma irregolare, non evidenziata da nessuna scritta; la Nobili verificò al microscopio che si trattava di una macchia intenzionale d'inchiostro. Essa non appare nella riproduzione litografica del Vol. III (parte II) delle opere di Galileo, forse perché prima della stampa l'immagine fu ripulita dalle "impurità". Tale puntino appare trovarsi ad appena 15" dalla posizione teorica di Nettuno.
Si veda {A-0226.0006_.0001.19970000-0097_0104} "Galileo's Observations of Neptune", Baltic Astronomy, 6, (1997) ➤
In {A-0198.0075_.0002.19880200-0194_0194} "Galileo and Uranus", Sky and Telescope (febbraio 1988) I26024 Chet Raymo (Dept. Of Physics and Astronomy, Stonehill College, North Easton, Massachusetts) mostrò che Galileo solo per poco fallì di osservare anche Urano. All'inizio del 1610 i due pianeti distavano 3°, e all'inizio di febbraio la loro distanza era solo 1°59'. Purtroppo il cannocchiale di Galileo aveva un campo così piccolo che i due pianeti non poterono essere osservati insieme. ➤
§ D16101113 D16101204 D16101205 D16101211 D16101230 D16110101 D16110109 D16110204 D16110424
§ I01360 I01496 I02095 I02387 I02570 I03212 I03705 I04162 I04398 I06347 I06699 I06967 I08990 I11779 I13237 I25520 I25629 I25636 I25787 I25820 I26024 I26100
§ {A-0081.0287_.5780.19800925-0311_0313} {A-0198.0057_.0003.19790300-0220_0222} {A-0198.0075_.0002.19880200-0194_0194} {A-0226.0006_.0001.19970000-0097_0104}
§ {B-0122.03b.1907} {B-0368.00_.1632} {B-0562.00_.1666}
§ {L-00070} {L-00088} {L-00089} {L-00090} {L-00091} {L-00092} {L-00093} {L-00094} {L-00095} {L-00096}
§ I01360 I01496 I02095 I02387 I02570 I03212 I03705 I04162 I04398 I06347 I06699 I06967 I08990 I11779 I13237 I25520 I25629 I25636 I25787 I25820 I26024 I26100
§ {A-0081.0287_.5780.19800925-0311_0313} {A-0198.0057_.0003.19790300-0220_0222} {A-0198.0075_.0002.19880200-0194_0194} {A-0226.0006_.0001.19970000-0097_0104}
§ {B-0122.03b.1907} {B-0368.00_.1632} {B-0562.00_.1666}
§ {L-00070} {L-00088} {L-00089} {L-00090} {L-00091} {L-00092} {L-00093} {L-00094} {L-00095} {L-00096}