Mercurio
I05335 F. W. Herschel non riuscì mai ad osservare macchie su Mercurio; il suo contemporaneo e amico I11058 Johann Hieronymus Schröter invece si distinse per molte osservazioni (che però oggi appaiono per la massima parte ingannevoli).
La sua prima memoria su Mercurio fu "Hermographische Fragmente zur genauern Kenntniss des Planeten Mercur", pubblicata all'interno nella raccolta {B-0600.00_.1800} "Beyträge zu den nueusten astronomischen Entdeckungen / Neuste Beyträge zur Erweiterung der Sternkunde" (1800).
Il 10 febbraio 1815 firmò l'introduzione della sua ultima opera, pubblicata nel 1816, {B-0275.02_.1816} "Hermographische Fragmente zur genauern Kenntniss des Planeten Mercur, Zweyter Theil, nebst den Beobachtungen des Planeten Vesta"; mori il 29 agosto di quell'anno.
Negli anni 1800-1801 Schröter, aiutato dal suo assistente Harding, eseguì una serie di osservazioni per cercare di determinare la rotazione di Mercurio. Rilevò alcune macchie particolarmente evidenti in prossimità del terminatore e la cui posizione sembrava non variare nell'intervallo di una giornata; ciò gli suggerì che la rotazione del pianeta dovesse avvenire in circa 24 h, come per la Terra. Schröter ritenne di poter fare una stima più precisa in base all'osservazione seguente. In vicinanza dei quarti, soprattutto quando Mercurio si presentava come falce crescente, il corno meridionale appariva quasi sempre visibilmente smussato, quasi troncato, mentre la cuspide nord aveva la normale forma appuntita. Sulla Luna le irregolarità della forma della parte illuminata sono dovute alla presenza di rilievi che con le loro ombre o con le loro cime illuminate alterano la forma del terminatore. Senza esitare, Schröter fece l'ipotesi che il fenomeno osservato su Mercurio fosse dovuto ad una gigantesca montagna, anzi ad un massiccio montuoso, situato vicino al polo sud del pianeta (oggi sappiamo che fu ingannato da effetti ottici di contrasto fra parti di splendore differente).
La riapparizione regolare di tale troncatura avrebbe indicato il ritorno della montagna al profilo del disco, per cui l'astronomo tedesco credette di poter stimare un periodo di rotazione di 24h e pochi minuti. A pag. 140 ➤ della memoria del 1800 fornì un riepilogo dei dati, fra i quali cito: il diametro di Mercurio è 608 miglia geografiche tedesche [608×7.40 km = 4499 km], il suo periodo di rotazione 24h e pochi minuti (2-4). A pag. 145 ➤ mise a confronto i maggiori rilievi su Terra, Luna, Venere, Mercurio.
Terra: montagna più alta il "Chimbo-raco" [Chimborazo] delle Ande: 3220 tese [3220×1.95 km = 6279 km], pari a 1/1017 del raggio terrestre;
Luna: monti nelle catene Leibnitz e Dörffel, 4166 tese [4166×1.95 = 8124 km], pari a 1/214 del raggio;
Venere: un monte di 5.8 miglia geografiche [5.8×7.40 = 43 km], pari a 1/144 del raggio;
Mercurio: un monte di 2.41 miglia geografiche [2.41×7.40 = 18 km], pari a 1/126 del raggio.
Nella seconda Memoria a p. 7 ➤ fissò il periodo di rotazione in 24h e 5m in base alle osservazioni del 1800; a p. 126 ➤ affermò che l'obliquità dell'eclittica di Mercurio è 20° ± pochi gradi.
Riportò che il periodo era 24h 0m 52s.97 secondo le ricerche di I01049 Bessel; questi pubblicò tale risultato in {A-0008.1813_.0000.18100000-0253_0253}, Astronomisches Jahrbuch 1813, p. 253 ➤.
Schröter segnalò anche dentature nella parte concava del terminatore e irregolarità del bordo del pianeta. Uno dei suoi disegni, in data 31 marzo 1801, raffigura Mercurio con due vistose protuberanze sul bordo, che sarebbero interpretabili come montagne alte rispettivamente 50 e 100 km! Forse Schröter intese esagerare la scala di queste due protuberanze, che in ogni caso furono illusioni dovute alla diffrazione. L'astronomo tedesco misurò delle vistose bande oscure sul disco di Mercurio e, benché queste fossero poco adatte a determinare la rotazione del pianeta, furono usate per stimare la direzione dell'asse di rotazione. Schröter e I05033 Harding credettero di individuare una banda oscura che cingeva l'intero pianeta, come su Giove, e per analogia la considerarono indicativa della posizione dell'equatore.
Per un errore di lettura della conclusione sull'inclinazione di Mercurio, si sparse la voce che il pianeta si trovasse in una situazione simile a quella di Urano, con un'inclinazione di 70° (invece di 20°); si veda per esempio {B-0064.02_.1867} "Astronomie Populaire" di I00352 Arago p. 504 ➤.
Durante il passaggio sul Sole del 5 novembre 1789, I08121 Méchain, I08227 Messier e Schröter dissero di aver scorto il disco nero di Mercurio circondato da un'anello molto sottile e debolmente luminoso. Lo interpretarono come un'aureola di luce diffusa da un'atmosfera densa circondante il pianeta. Ma non tutti furono di questo parere.
Herschel negò la presenza di un'atmosfera, dichiarando in {A-0002.0093a.0000.18030000-0214_0232} "Observations of the Transit of Mercury over the Disk of the Sun ...", Philosophical Transactions, 93, Part I (1803) ➤ che il contorno di Mercurio gli era apparso perfettamente netto e determinato durante l'intera durata del passaggio.
Altri riportarono, a sostegno dell'ipotesi dell'atmosfera, l'osservazione dello strano fenomeno detto della "goccia nera": al momento del contatto interno del pianeta con il bordo solare, questo si deformava, unendosi al dischetto, planetario con una specie di peduncolo, come una goccia al momento del contatto (o del distacco).
In realtà, si tratta di un fenomeno di diffrazione, che è stato anche fotografato, ma consiste in una deformazione delle dimensioni dei contorni (come quella che si osserva guardando una fonte di luce attraverso le fessure fra le dita). Il fenomeno non fu però segnalato durante il passaggio osservato la mattina del 9 novembre 1802. Le argomentazioni ritenute più convincenti a favore dell'esistenza dell'atmosfera erano, secondo Schröter e Harding (1801): le considerevoli bande oscure che si osservano sul disco presentavano talvolta considerevoli variazioni di luminosità, come se fossero oscurate da veli atmosferici ; il terminatore appariva più debole del resto del disco e quindi la fase visibile appariva sempre inferiore a quella calcolata. Quest'ultimo fenomeno (molto più evidente su Venere) oggi è detto "effetto Schröter" (sembra, seguendo il suggerimento del celebre astronomo dilettante inglese I08521 Patrick Moore).
La sua prima memoria su Mercurio fu "Hermographische Fragmente zur genauern Kenntniss des Planeten Mercur", pubblicata all'interno nella raccolta {B-0600.00_.1800} "Beyträge zu den nueusten astronomischen Entdeckungen / Neuste Beyträge zur Erweiterung der Sternkunde" (1800).
Il 10 febbraio 1815 firmò l'introduzione della sua ultima opera, pubblicata nel 1816, {B-0275.02_.1816} "Hermographische Fragmente zur genauern Kenntniss des Planeten Mercur, Zweyter Theil, nebst den Beobachtungen des Planeten Vesta"; mori il 29 agosto di quell'anno.
Negli anni 1800-1801 Schröter, aiutato dal suo assistente Harding, eseguì una serie di osservazioni per cercare di determinare la rotazione di Mercurio. Rilevò alcune macchie particolarmente evidenti in prossimità del terminatore e la cui posizione sembrava non variare nell'intervallo di una giornata; ciò gli suggerì che la rotazione del pianeta dovesse avvenire in circa 24 h, come per la Terra. Schröter ritenne di poter fare una stima più precisa in base all'osservazione seguente. In vicinanza dei quarti, soprattutto quando Mercurio si presentava come falce crescente, il corno meridionale appariva quasi sempre visibilmente smussato, quasi troncato, mentre la cuspide nord aveva la normale forma appuntita. Sulla Luna le irregolarità della forma della parte illuminata sono dovute alla presenza di rilievi che con le loro ombre o con le loro cime illuminate alterano la forma del terminatore. Senza esitare, Schröter fece l'ipotesi che il fenomeno osservato su Mercurio fosse dovuto ad una gigantesca montagna, anzi ad un massiccio montuoso, situato vicino al polo sud del pianeta (oggi sappiamo che fu ingannato da effetti ottici di contrasto fra parti di splendore differente).
La riapparizione regolare di tale troncatura avrebbe indicato il ritorno della montagna al profilo del disco, per cui l'astronomo tedesco credette di poter stimare un periodo di rotazione di 24h e pochi minuti. A pag. 140 ➤ della memoria del 1800 fornì un riepilogo dei dati, fra i quali cito: il diametro di Mercurio è 608 miglia geografiche tedesche [608×7.40 km = 4499 km], il suo periodo di rotazione 24h e pochi minuti (2-4). A pag. 145 ➤ mise a confronto i maggiori rilievi su Terra, Luna, Venere, Mercurio.
Terra: montagna più alta il "Chimbo-raco" [Chimborazo] delle Ande: 3220 tese [3220×1.95 km = 6279 km], pari a 1/1017 del raggio terrestre;
Luna: monti nelle catene Leibnitz e Dörffel, 4166 tese [4166×1.95 = 8124 km], pari a 1/214 del raggio;
Venere: un monte di 5.8 miglia geografiche [5.8×7.40 = 43 km], pari a 1/144 del raggio;
Mercurio: un monte di 2.41 miglia geografiche [2.41×7.40 = 18 km], pari a 1/126 del raggio.
Nella seconda Memoria a p. 7 ➤ fissò il periodo di rotazione in 24h e 5m in base alle osservazioni del 1800; a p. 126 ➤ affermò che l'obliquità dell'eclittica di Mercurio è 20° ± pochi gradi.
Riportò che il periodo era 24h 0m 52s.97 secondo le ricerche di I01049 Bessel; questi pubblicò tale risultato in {A-0008.1813_.0000.18100000-0253_0253}, Astronomisches Jahrbuch 1813, p. 253 ➤.
Schröter segnalò anche dentature nella parte concava del terminatore e irregolarità del bordo del pianeta. Uno dei suoi disegni, in data 31 marzo 1801, raffigura Mercurio con due vistose protuberanze sul bordo, che sarebbero interpretabili come montagne alte rispettivamente 50 e 100 km! Forse Schröter intese esagerare la scala di queste due protuberanze, che in ogni caso furono illusioni dovute alla diffrazione. L'astronomo tedesco misurò delle vistose bande oscure sul disco di Mercurio e, benché queste fossero poco adatte a determinare la rotazione del pianeta, furono usate per stimare la direzione dell'asse di rotazione. Schröter e I05033 Harding credettero di individuare una banda oscura che cingeva l'intero pianeta, come su Giove, e per analogia la considerarono indicativa della posizione dell'equatore.
Per un errore di lettura della conclusione sull'inclinazione di Mercurio, si sparse la voce che il pianeta si trovasse in una situazione simile a quella di Urano, con un'inclinazione di 70° (invece di 20°); si veda per esempio {B-0064.02_.1867} "Astronomie Populaire" di I00352 Arago p. 504 ➤.
Durante il passaggio sul Sole del 5 novembre 1789, I08121 Méchain, I08227 Messier e Schröter dissero di aver scorto il disco nero di Mercurio circondato da un'anello molto sottile e debolmente luminoso. Lo interpretarono come un'aureola di luce diffusa da un'atmosfera densa circondante il pianeta. Ma non tutti furono di questo parere.
Herschel negò la presenza di un'atmosfera, dichiarando in {A-0002.0093a.0000.18030000-0214_0232} "Observations of the Transit of Mercury over the Disk of the Sun ...", Philosophical Transactions, 93, Part I (1803) ➤ che il contorno di Mercurio gli era apparso perfettamente netto e determinato durante l'intera durata del passaggio.
Altri riportarono, a sostegno dell'ipotesi dell'atmosfera, l'osservazione dello strano fenomeno detto della "goccia nera": al momento del contatto interno del pianeta con il bordo solare, questo si deformava, unendosi al dischetto, planetario con una specie di peduncolo, come una goccia al momento del contatto (o del distacco).
In realtà, si tratta di un fenomeno di diffrazione, che è stato anche fotografato, ma consiste in una deformazione delle dimensioni dei contorni (come quella che si osserva guardando una fonte di luce attraverso le fessure fra le dita). Il fenomeno non fu però segnalato durante il passaggio osservato la mattina del 9 novembre 1802. Le argomentazioni ritenute più convincenti a favore dell'esistenza dell'atmosfera erano, secondo Schröter e Harding (1801): le considerevoli bande oscure che si osservano sul disco presentavano talvolta considerevoli variazioni di luminosità, come se fossero oscurate da veli atmosferici ; il terminatore appariva più debole del resto del disco e quindi la fase visibile appariva sempre inferiore a quella calcolata. Quest'ultimo fenomeno (molto più evidente su Venere) oggi è detto "effetto Schröter" (sembra, seguendo il suggerimento del celebre astronomo dilettante inglese I08521 Patrick Moore).
Venere
Schröter iniziò ad osservare Venere sin dal 1779, ma solo dopo anni potè riconoscere le tracce di un movimento di rotazione, e nel 1792 presentò, all'Accademia di Erfurt, la sua prima relazione; essa fu pubblicata, nel 1793, in Abhandlungen der Akademie gemeinnütziger Wissenschaften zu Erfurt, e anche separatamente come "Cythereographische Fragmente, oder Beobachtungen über die sehr beträchtlichen Gebirge und die Rotation der Venus", sempre ad Erfurt; in essa, ricavò un periodo di rotazione di 23h 21m 19s.
Una sua memoria su Venere, letta il 24.5.1792, apparve (tradotta) come "Observations on the Atmospheres of Venus and the Moon, their respective Densities, perpendicular Heights, and the Twi-light occasioned by them", Philosophical Transactions, 82 . Una frase di questa Memoria stupì Herschel:
Una sua memoria su Venere, letta il 24.5.1792, apparve (tradotta) come "Observations on the Atmospheres of Venus and the Moon, their respective Densities, perpendicular Heights, and the Twi-light occasioned by them", Philosophical Transactions, 82 . Una frase di questa Memoria stupì Herschel:
{A-0002.0082b.0000.17920000-0309_0361} p. 337 ➤ Così vediamo una notevole coincidenza in ogni aspetto; e ancora, anche se non possiamo supporre una minore, ma piuttosto una maggiore forza di gravità sulla superficie di Venere che sul nostro globo, la natura sembra, tuttavia, aver innalzato sul primo dislivelli così grandi, e montagne di tale enorme altezza, da eccedere 4, 5 e anche 6 volte l'elevazione perpendicolare del Cimboraco, la più alta delle nostre montagne.
Schröter non fu il primo a ipotizzare delle grandi montagne di Venere. Nel maggio 1700, I06924 Philippe (I) de la Hire osservando il pianeta vicino alla congiunzione inferiore (telescopio di 5.2 m di focale, ingrandimento 90) notò sulla parte interna del crescente delle irregolarità che attribuì a montagne più alte della Luna.
E ancora, da "Astro-Theology" (1721) di I02995 Willaim Derham:
E ancora, da "Astro-Theology" (1721) di I02995 Willaim Derham:
{B-0085.00_.1721} (To the reader, II) ➤ Osservando Venere con la lente di Mr. Huygens per diverse notti, quando era vicino al Perigeo, e molto cornicolata, io penso di aver visto anfratti, e ruvidità sulla parte concava della parte illuminata (come ne vediamo nella Luna nuova) che ho rappresentato più simili che ho potuto nella fig. 12. ➤
Il maggiore lavoro di Schroeter su Venere fu pubblicato ad Helmstedt nel 1796: {B-0136.00_.1796} "Aphroditographische Fragmente zur genauern Kenntniss des Planeten Venus".
Schröter notò in varie occasioni delle troncature o deformazioni dei corni della falce, e anche altre irregolarità lungo il terminatore o lungo il profilo circolare. Soprattutto da 15 osservazioni dell'aspetto singolare del corno australe (28.12.1789 - 3.9.1793) furono usate per dedurre il periodo di rotazione. Il corno australe appariva talvolta più ottuso di quello boreale, e in certi casi (28.12.1789, 31.1.1790, 27.2.1793) un punto luminoso isolato rimpiazzava la punta propriamente detta della fase (fig. 14). ➤
Come nel caso della Luna, Schröter attribuì questi fenomeni dall'ombra proiettata in quelle regioni da montagne molto alte; a p. 33 ➤ stimò un'altezza di 22252 tese, o 5.8 miglia geografiche tedesche (circa 43 km), concludendo che questi fenomeni si dovessero ripetere ad ogni rotazione, anche quando non erano percepiti da Terra. Da una ripetizione degli effetti il 25, 27, 20 dicembre 1791, dedusse una rotazione compresa fra 23h0m e 23h40m p. 39 ➤. Esaminò poi le osservazioni del 28.12.1789 e 20.12.1791 (p. 13 ➤ e p. 31 ➤), quando aveva visto un punto luminoso completamente isolato alla sommità molto arrotondata del corno australe; cercando un numero completo di rotazioni fra questi due eventi, con periodo compreso fra 23h0m e 23h40m, scelse il valore 23h 20m 59.04s p. 39 ➤. Nel 1809 elaborò un'altra stima: 23h 21m 7.977s.
Essa fu pubblicata come appendice alla sua opera {B-0602.00_.1811} "Beobachtungen des grossen Cometen von 1807: sammt einem Nachtrage zu den aphroditographischen Fragmenten" (Göttingen, 1811) p. 56 ➤
sunto in {A-0008.1812_.0000.18090000-0219_0222}, Astronomisches Jahrbuch, 1812, p. 220 ➤ e {A-0007.0025_.0004.18120400-0362_0367}, Monatliche Correspondenz, 25, p. 367 ➤.
Il 12 agosto 1790, quando il diametro del pianeta era 60", le corde dei due archi che una luce molto debole rischiarava al di là delle corna brillanti del disco erano a 8" l'una dall'altra. Schröter calcolò che la luce secondaria si estendeva sul pianeta 15° più lontano del terminatore; la attribuì alla riflessione della luce da parte dell'atmosfera, come la luce crepuscolare della Terra. Si tratta dell'effetto Schröter.
Schröter notò in varie occasioni delle troncature o deformazioni dei corni della falce, e anche altre irregolarità lungo il terminatore o lungo il profilo circolare. Soprattutto da 15 osservazioni dell'aspetto singolare del corno australe (28.12.1789 - 3.9.1793) furono usate per dedurre il periodo di rotazione. Il corno australe appariva talvolta più ottuso di quello boreale, e in certi casi (28.12.1789, 31.1.1790, 27.2.1793) un punto luminoso isolato rimpiazzava la punta propriamente detta della fase (fig. 14). ➤
Come nel caso della Luna, Schröter attribuì questi fenomeni dall'ombra proiettata in quelle regioni da montagne molto alte; a p. 33 ➤ stimò un'altezza di 22252 tese, o 5.8 miglia geografiche tedesche (circa 43 km), concludendo che questi fenomeni si dovessero ripetere ad ogni rotazione, anche quando non erano percepiti da Terra. Da una ripetizione degli effetti il 25, 27, 20 dicembre 1791, dedusse una rotazione compresa fra 23h0m e 23h40m p. 39 ➤. Esaminò poi le osservazioni del 28.12.1789 e 20.12.1791 (p. 13 ➤ e p. 31 ➤), quando aveva visto un punto luminoso completamente isolato alla sommità molto arrotondata del corno australe; cercando un numero completo di rotazioni fra questi due eventi, con periodo compreso fra 23h0m e 23h40m, scelse il valore 23h 20m 59.04s p. 39 ➤. Nel 1809 elaborò un'altra stima: 23h 21m 7.977s.
Essa fu pubblicata come appendice alla sua opera {B-0602.00_.1811} "Beobachtungen des grossen Cometen von 1807: sammt einem Nachtrage zu den aphroditographischen Fragmenten" (Göttingen, 1811) p. 56 ➤
sunto in {A-0008.1812_.0000.18090000-0219_0222}, Astronomisches Jahrbuch, 1812, p. 220 ➤ e {A-0007.0025_.0004.18120400-0362_0367}, Monatliche Correspondenz, 25, p. 367 ➤.
Il 12 agosto 1790, quando il diametro del pianeta era 60", le corde dei due archi che una luce molto debole rischiarava al di là delle corna brillanti del disco erano a 8" l'una dall'altra. Schröter calcolò che la luce secondaria si estendeva sul pianeta 15° più lontano del terminatore; la attribuì alla riflessione della luce da parte dell'atmosfera, come la luce crepuscolare della Terra. Si tratta dell'effetto Schröter.
Marte
La vita di J. H. Schröter fu segnata dalle guerre napoleoniche; avendo perso il supporto finanziario del re I26133 George III (che, ricordo, era stato mecenate anche e soprattutto di F. W. Herschel), a malapena riuscì a proseguire il lavoro all'osservatorio; in ogni modo, riuscì a compiere l'osservazione della grande cometa del 1811. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Nell'aprile 1813 un distaccamento francese affermò di essere stato aggredito dai contadini locali, e il generale Vandamme scatenò una feroce rappresaglia: l'incendio di Lilienthal. Una violenta deflagrazione distrusse gli edifici governativi dove Schröter conservava la maggior parte dei suoi libri e manoscritti. L'osservatorio sfuggì all'incendio, ma vari giorni dopo fu saccheggiato dalle truppe francesi, che devastarono con furia barbarica tutti gli strumenti.
La distruzione dell'Osservatorio (insieme alla gran parte delle note di osservazione) fu un'immane tragedia, da cui Schröter non seppe più rimettersi (morì circa tre anni dopo). Ben presto, i francesi furono espulsi dal paese e Schröter, reinstallato come magistrato, si occupò della ricostruzione di Lilienthal, ma era troppo tardi per ricostruire l'osservatorio. Cercò di tenere a bada la disperazione scrivendo il rapporto sulla Grande Cometa del 1811, in cui annunciò che stava preparando la pubblicazione delle sue osservazioni di Marte. Miracolosamente, la maggior parte di questi appunti erano sopravvissuti al fuoco, anche se alcuni disegni erano danneggiati e dovettero essere ridisegnati. Il suo incisore, I26196 Georg Heinrich Tischbein di Brema, iniziò a fare lastre di rame dei disegni, ma la vista di Schröter stava diminuendo, e il progetto non potè essere completato prima della sua morte, avvenuta il 29 agosto 1816, un giorno prima di compiere 71 anni. Tischbein fu da alcuni accusato di essere un incisore maldestro e responsabile almeno in parte della fama di cattivo disegnatore affibbiata a Schröter. Il confronto fra i disegni a penna di questi con con le incisioni di Tischbein, invece, esonera quest'ultimo.
I suoi eredi non accettarono di completare il lavoro, quindi i manoscritti e disegni di Marte rimasero sconosciuti. Furono ritrovati nel 1873, grazie alle nipoti dell'astronomo tedesco, da I12295 François Terby, che stava raccogliendo diligentemente disegni di Marte per una memoria che doveva pubblicare:
{A-0028.0039_.0001.18790000-0001_0119} "Aréographie, ou étude comparative des observations faites sur l'aspect physique de la planète Mars depuis Fontana (1636) jusqu'à nos jours (1873)", Mémoires des savants étrangers de l'Académie Royale des Sciences de Belgique, 39, (1879) ➤
Terby poi depositò il materiale nella biblioteca dell'Univ. di Leida, e pubblicò una breve memoria riassuntiva, {A-0028.0038_.0000.18730000-0001_0030} "Aerographische Fragmente. Manuscrit et Dessins originaux et inédits de l'astronome J.-H. Schroeter, de Lilienthal", Mémoires Couronnés et Mémoires des Savants Étrangers publiées par l‘Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, 38, (1873) ➤
La pubblicazione completa fu fatta dal direttore dell'Osservatorio di Leiden, I00568 H.G. van de Sande Bakhuyzen: {B-0603.00_.1881} "Areographische Beiträge zur genauern Kenntnis und Beurtheilung des Planeten Mars... Nach dem Manuscripte auf der Leidener Sternwarte", Leiden 1881.
Bakhuyzen si lamentò di aver dovuto aspettare ben un'anno prima che l'incisore gli realizzasse i due disegni che non erano stati incisi dal vecchio incisore di Schröter (Tischbein); per 5 volte glieli dovette fare ritoccare.
Il libro fu discusso da I03865 Camille Flammarion in {B-0093.01_.1892} "La Planète Mars et ses conditions d'habitabilité" (1892) da p. 62 ➤.
Schröter osservò Marte fra il 1785 e il 1803. Le prime osservazioni furono compiute con un telescopio di Herschel nel novembre 1785; notò solo poche macchie confuse e, anche dopo averle osservate notte per notte, non riuscì a convincersi che fossero dei dettagli stabili che ritornavano alla vista. Nel 1787, con il suo telescopio maggiore, giunse ad una conclusione che falsò tutto il suo lavoro successivo:
La distruzione dell'Osservatorio (insieme alla gran parte delle note di osservazione) fu un'immane tragedia, da cui Schröter non seppe più rimettersi (morì circa tre anni dopo). Ben presto, i francesi furono espulsi dal paese e Schröter, reinstallato come magistrato, si occupò della ricostruzione di Lilienthal, ma era troppo tardi per ricostruire l'osservatorio. Cercò di tenere a bada la disperazione scrivendo il rapporto sulla Grande Cometa del 1811, in cui annunciò che stava preparando la pubblicazione delle sue osservazioni di Marte. Miracolosamente, la maggior parte di questi appunti erano sopravvissuti al fuoco, anche se alcuni disegni erano danneggiati e dovettero essere ridisegnati. Il suo incisore, I26196 Georg Heinrich Tischbein di Brema, iniziò a fare lastre di rame dei disegni, ma la vista di Schröter stava diminuendo, e il progetto non potè essere completato prima della sua morte, avvenuta il 29 agosto 1816, un giorno prima di compiere 71 anni. Tischbein fu da alcuni accusato di essere un incisore maldestro e responsabile almeno in parte della fama di cattivo disegnatore affibbiata a Schröter. Il confronto fra i disegni a penna di questi con con le incisioni di Tischbein, invece, esonera quest'ultimo.
I suoi eredi non accettarono di completare il lavoro, quindi i manoscritti e disegni di Marte rimasero sconosciuti. Furono ritrovati nel 1873, grazie alle nipoti dell'astronomo tedesco, da I12295 François Terby, che stava raccogliendo diligentemente disegni di Marte per una memoria che doveva pubblicare:
{A-0028.0039_.0001.18790000-0001_0119} "Aréographie, ou étude comparative des observations faites sur l'aspect physique de la planète Mars depuis Fontana (1636) jusqu'à nos jours (1873)", Mémoires des savants étrangers de l'Académie Royale des Sciences de Belgique, 39, (1879) ➤
Terby poi depositò il materiale nella biblioteca dell'Univ. di Leida, e pubblicò una breve memoria riassuntiva, {A-0028.0038_.0000.18730000-0001_0030} "Aerographische Fragmente. Manuscrit et Dessins originaux et inédits de l'astronome J.-H. Schroeter, de Lilienthal", Mémoires Couronnés et Mémoires des Savants Étrangers publiées par l‘Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, 38, (1873) ➤
La pubblicazione completa fu fatta dal direttore dell'Osservatorio di Leiden, I00568 H.G. van de Sande Bakhuyzen: {B-0603.00_.1881} "Areographische Beiträge zur genauern Kenntnis und Beurtheilung des Planeten Mars... Nach dem Manuscripte auf der Leidener Sternwarte", Leiden 1881.
Bakhuyzen si lamentò di aver dovuto aspettare ben un'anno prima che l'incisore gli realizzasse i due disegni che non erano stati incisi dal vecchio incisore di Schröter (Tischbein); per 5 volte glieli dovette fare ritoccare.
Il libro fu discusso da I03865 Camille Flammarion in {B-0093.01_.1892} "La Planète Mars et ses conditions d'habitabilité" (1892) da p. 62 ➤.
Schröter osservò Marte fra il 1785 e il 1803. Le prime osservazioni furono compiute con un telescopio di Herschel nel novembre 1785; notò solo poche macchie confuse e, anche dopo averle osservate notte per notte, non riuscì a convincersi che fossero dei dettagli stabili che ritornavano alla vista. Nel 1787, con il suo telescopio maggiore, giunse ad una conclusione che falsò tutto il suo lavoro successivo:
{B-0603.00_.1881} p. 2 Le macchie e le strisce del globo di Marte sono sempre in cambiamento, anche ora dopo ora. Ma che esse siano le stesse regioni è dimostrato dal fatto che le stesse forme e posizioni si sviluppano e passano oltre ancora, come ci si aspetterebbe se gli aspetti atmosferici variabili avvenissero sopra una superficie solida.
Schröter disegnò varie volte la struttura più riconoscibile della superficie marziana, chiamata Syrtis Major da Schiaparelli, senza capire che era stabilmente ancorata alla superficie, nonostante avesse compiuto osservazioni negli anni 1785, 1787, 1788, 1792, 1794, 1796, 1798, 1799, 1800, 1801, 1802, 1803. Era influenzato dallo studio delle fasce di Giove: le vedeva anche sul disco di Marte. Però, mentre riteneva che le bande chiare di Giove fossero nubi, e le fasce scure visioni della superficie scura del pianeta attraverso un'atmosfera più serena, per Marte pensava il contrario: le macchie scure erano nuvole che riflettevano meno luce della superficie solida. Con confronti fatti nel 1785 e 1792 dedusse valori abbastanza diversi del periodo di rotazione, con una media di 24h 39m 50.2s. Ma disperando di poter trovare un valore preciso a causa della variabilità delle nubi, si ridusse ad adottare il semplice valore di Cassini, 24h 40m. Partendo da questo modello di rotazione, dedusse il moto relativo delle macchie scure, che anticipavano o ritardavano a seconda della direzione del vento: studiando i disegni fatti fra il 1785 e il 1803, arrivò ad individuare 45 correnti diverse.
Schröter condusse accurate osservazioni delle cappe polari, che considerò frutto di una precipitazione atmosferica. Le sue misure del diametro del pianeta furono molto vicine a quelle di Huygens, anche se determinò che i diametri equatoriale e polare concordano entro 1/81. Confermò i risultati di Herschel per quanto riguardo l'obliquità dell'asse e la natura delle stagioni, e concluse che di tutti i pianeti, Marte era il più simile alla Terra.
Schröter condusse accurate osservazioni delle cappe polari, che considerò frutto di una precipitazione atmosferica. Le sue misure del diametro del pianeta furono molto vicine a quelle di Huygens, anche se determinò che i diametri equatoriale e polare concordano entro 1/81. Confermò i risultati di Herschel per quanto riguardo l'obliquità dell'asse e la natura delle stagioni, e concluse che di tutti i pianeti, Marte era il più simile alla Terra.
I disegni di Marte fatti da Schröter sono stati usati per studiare la variabilità a lungo periodo delle macchie. Herschel nel 1783 mostrò una formazione che oggi non si vede più: una specie di uncino curvo, che rivaleggiava con la Syrtis Major, e poteva essere scambiato con essa. Localizzato ad una longitudine di circa 240° W, si estendeva dal mare Cimmerium nella regione poi nota come Aethiopis e fu una delle caratteristiche più visibili durante gli ultimi due decenni del 18° secolo. Invece, sembra che i disegni di Schröter non diano indicazioni sul verificarsi di grandi tempeste di sabbia.
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Giove
Le prime importanti osservazioni di J.H. Schröter si svolsero dall'ottobre 1785 al novembre 1787, con un telescopio di corta focale.
Comunicò i risultati in {B-0137.00_.1788} “Beiträge zu den neuesten astronomischen Entdeckungen” (Berlino, 1788), nella prima memoria: “Beobachtungen und Folgerungen über die Rotation und Atmosphäre des Jupiters”, p. 1 ➤, che contiene una bella Tavola ➤
L'osservazione delle macchie gli permise di stimare il periodo di rotazione: trovò 9h 56m 56s nel 1785 e 9h 55m 18s nel 1786.
Nel 1792 pubblicò “Observations in the Atmospheres of Venus and the Moon, their respective Densities, perpendicular Heights, and the Twilight occasioned by them”, Philosophical Transactions, 82. Riferì che il 7 aprile 1792 aveva osservato un'occultazione di Giove da parte della Luna, fornendo un bel disegno e questa descrizione:
Comunicò i risultati in {B-0137.00_.1788} “Beiträge zu den neuesten astronomischen Entdeckungen” (Berlino, 1788), nella prima memoria: “Beobachtungen und Folgerungen über die Rotation und Atmosphäre des Jupiters”, p. 1 ➤, che contiene una bella Tavola ➤
L'osservazione delle macchie gli permise di stimare il periodo di rotazione: trovò 9h 56m 56s nel 1785 e 9h 55m 18s nel 1786.
Nel 1792 pubblicò “Observations in the Atmospheres of Venus and the Moon, their respective Densities, perpendicular Heights, and the Twilight occasioned by them”, Philosophical Transactions, 82. Riferì che il 7 aprile 1792 aveva osservato un'occultazione di Giove da parte della Luna, fornendo un bel disegno e questa descrizione:
{A-0002.0082b.0000.17920000-0309_0361} p. 356 ➤ Ma quello che particolarmente mi colpì, furono due macchie nebulose indefinite, i e k, che erano sensibilmente più scure della zona principale d d; e a l, una ancora più notevole macchia circolare, anche se imperfettamente definita, un poco più luminosa dell'intervallo luminoso fra le zone, e perfettamente simile alla notevole macchia luminosa che avevo osservato nel 1786 e 1787, nella stessa parte di Giove, e che allora mi condusse a deduzioni del tutto inaspettate riguardo l'atmosfera del pianeta [Beytr. Zu den neusten Astron. Entd. p. 75 {B-0137.00_.1788} p. 75 ➤ e Tab. I fig. 6 ➤].
Questa osservazione fu segnalata dal Rev. I06034 Samuel J. Johnson in una lettera dell'8 dicembre 1879, pubblicata in {A-0072.0003_.0033.18800101-0283_0283}, The Observatory, 3, p. 283 ➤.
La lettera iniziava con la frase: « In riferimento alla macchia che recentemente si è mostrata su Giove e di cui molto si parla, si può richiamare l'attenzione su un'osservazione di qualcosa molto simile osservata da Schroeter nel secolo scorso. » Johnson riportò che la macchia del 1792 si trovava nell'emisfero meridionale, anche se la figura la posiziona relativamente vicina all'equatore e nell'emisfero contrassegnato con North (in basso, com'è normale nei tradizionali disegni astronomici capovolti).
Fu così che I00328 Antoniadi nel 1926 riportò in {A-0077.0040_.0009.19260900-0394_0409} “Le Monde de Jupiter”, L’astronomie-BSAF, 40, p. 402 ➤ « Sembrerebbe che nel 1786, 1787 e 1792, Schroeter avesse osservata la macchia rossa, secondo S.J. Johnson, la quale si sarebbe presentata circolare e chiara in mezzo. »
Le osservazioni del 1786-1787 si possono trovare anche in {A-0062.0032a.0002.17880200-0108_0115} = "Sur la rotation et l'atmosphere de Jupiter", Journal de Physique, 32 (1788) ➤ [Tavola ➤]
Una seconda importante stagione di osservazioni, dall'agosto 1796 al dicembre 1797, gli diede risultati migliori, grazie a strumenti di grande lunghezza focale (fino a 27 piedi, di sua costruzione). Dedusse che le bande sono nubi parallele all'equatore, e le macchie sono nubi di diversa altezza.
La lettera iniziava con la frase: « In riferimento alla macchia che recentemente si è mostrata su Giove e di cui molto si parla, si può richiamare l'attenzione su un'osservazione di qualcosa molto simile osservata da Schroeter nel secolo scorso. » Johnson riportò che la macchia del 1792 si trovava nell'emisfero meridionale, anche se la figura la posiziona relativamente vicina all'equatore e nell'emisfero contrassegnato con North (in basso, com'è normale nei tradizionali disegni astronomici capovolti).
Fu così che I00328 Antoniadi nel 1926 riportò in {A-0077.0040_.0009.19260900-0394_0409} “Le Monde de Jupiter”, L’astronomie-BSAF, 40, p. 402 ➤ « Sembrerebbe che nel 1786, 1787 e 1792, Schroeter avesse osservata la macchia rossa, secondo S.J. Johnson, la quale si sarebbe presentata circolare e chiara in mezzo. »
Le osservazioni del 1786-1787 si possono trovare anche in {A-0062.0032a.0002.17880200-0108_0115} = "Sur la rotation et l'atmosphere de Jupiter", Journal de Physique, 32 (1788) ➤ [Tavola ➤]
Una seconda importante stagione di osservazioni, dall'agosto 1796 al dicembre 1797, gli diede risultati migliori, grazie a strumenti di grande lunghezza focale (fino a 27 piedi, di sua costruzione). Dedusse che le bande sono nubi parallele all'equatore, e le macchie sono nubi di diversa altezza.
Saturno
Il libro {B-0601.00_.1808} "Kronographische Fragmente zur geauern Kenntniss des Planeten Saturn, seine Ringes und seiner Trabanten" ➤ parla degli anelli e satelliti (forse i manoscritti dedicati al globo del pianeta andarono distrutti nel 1813, e non potè pubblicare un altro volume).
Le osservazioni riportate furono compiute nel 1789-90 e 1803, quando l'anello si presentava sottile. Schröter concluse che l'anello era un corpo solito, corrugato da montagne, e dotato di atmosfera; non aveva moto di rotazione, per rimaneva fisso rispetto alle stelle. Questa stravagante opinione derivò da un'osservazione compiuta il 31 gennaio 1790, poco dopo la fase di taglio dell'anello. Mentre l'ansa orientale era difficilmente visibile, quella occidentale appariva come una distinta linea di luce, anche se interrotta. Questo fenomeno fu osservato varie volte fino al giorno 22, quando Saturno si perse nella luce solare. Schröter pensò che l'anello dovesse avere una vistosa irregolarità e, siccome il fenomeno era stato osservato in varie notti alla stessa ora, concluse che l'anello non avesse moto di rotazione.
Le osservazioni riportate furono compiute nel 1789-90 e 1803, quando l'anello si presentava sottile. Schröter concluse che l'anello era un corpo solito, corrugato da montagne, e dotato di atmosfera; non aveva moto di rotazione, per rimaneva fisso rispetto alle stelle. Questa stravagante opinione derivò da un'osservazione compiuta il 31 gennaio 1790, poco dopo la fase di taglio dell'anello. Mentre l'ansa orientale era difficilmente visibile, quella occidentale appariva come una distinta linea di luce, anche se interrotta. Questo fenomeno fu osservato varie volte fino al giorno 22, quando Saturno si perse nella luce solare. Schröter pensò che l'anello dovesse avere una vistosa irregolarità e, siccome il fenomeno era stato osservato in varie notti alla stessa ora, concluse che l'anello non avesse moto di rotazione.
Nel 1803, poco dopo la fase di taglio, cercò di ricontrollare il fenomeno. Il 4 gennaio, il suo assistente Harding vide un nodo luminoso (a) sull'ansa occidentale, e il giorno 10 Schröter stesso osservò due nodi (b, c) su quella orientale. Questi nodi sono effetti ottici, e per questo motivo sembrano non cambiare posizione. Non rendendosi conto di questo, Schröter e Harding studiarono assiduamente le condensazioni notte dopo notte per quattro mesi, dimostrando che erano fisse. Il 20 gennaio 1803, Schröter determinò l'altezza di quella che aveva battezzato Hardingischen Gebirge (a) in 168.55*7.40 = 1247 km. p. 228 ➤
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§ I00328 I00352 I00568 I01049 I02995 I03865 I05033 I05335 I05741 I06034 I06924 I08121 I08227 I08521 I11058 I12295 I26133 I26196
§ {A-0002.0082b.0000.17920000-0309_0361} {A-0002.0093a.0000.18030000-0214_0232} {A-0007.0025_.0004.18120400-0362_0367} {A-0008.1812_.0000.18090000-0219_0222} {A-0008.1813_.0000.18100000-0253_0253} {A-0028.0038_.0000.18730000-0001_0030} {A-0028.0039_.0001.18790000-0001_0119} {A-0062.0032a.0002.17880200-0108_0115} {A-0072.0003_.0033.18800101-0283_0283} {A-0077.0040_.0009.19260900-0394_0409}
§ {B-0064.02_.1867} {B-0085.00_.1721} {B-0093.01_.1892} {B-0136.00_.1796} {B-0137.00_.1788} {B-0275.02_.1816} {B-0600.00_.1800} {B-0601.00_.1808} {B-0602.00_.1811} {B-0603.00_.1881}
§ {A-0002.0082b.0000.17920000-0309_0361} {A-0002.0093a.0000.18030000-0214_0232} {A-0007.0025_.0004.18120400-0362_0367} {A-0008.1812_.0000.18090000-0219_0222} {A-0008.1813_.0000.18100000-0253_0253} {A-0028.0038_.0000.18730000-0001_0030} {A-0028.0039_.0001.18790000-0001_0119} {A-0062.0032a.0002.17880200-0108_0115} {A-0072.0003_.0033.18800101-0283_0283} {A-0077.0040_.0009.19260900-0394_0409}
§ {B-0064.02_.1867} {B-0085.00_.1721} {B-0093.01_.1892} {B-0136.00_.1796} {B-0137.00_.1788} {B-0275.02_.1816} {B-0600.00_.1800} {B-0601.00_.1808} {B-0602.00_.1811} {B-0603.00_.1881}