Questa storia inizia con "Prodromus dissertationum cosmographicum, continens mysterium cosmographicum de admirabili proportione orbium coelestium..." (1596). Nella prefazione, I06347 Johannes Kepler (Keplero) enunciò un problema alla cui soluzione si dedicò per tutta la vita:
{B-0004.00_.1596} Prefatio ad lectorem, p. 6 ➤ Di tre questioni ero principalmente impegnato a ricercare la ragione per la quale esse sono così e non in un altro modo: il numero, l'estensione e il periodo degli orbi. La mirabile armonia delle cose immobili - il Sole, le stelle fisse e lo spazio - che corrispondono alla Trinità di Dio Padre, Dio Figlio e Spirito Santo mi incoraggiò in questo tentativo.
[Cercò di vedere se le distanze medie dei pianeti dal Sole potessero essere arrangiate in una progressione numerica o in una serie di funzioni, ma senza risultato. Le successioni numeriche che aveva trovato possedevano un numero di termini superiori a quello dei pianeti conosciuti. Forse perché servivano altri pianeti? Aveva anticipato Titius e Bode.]
Prefatio ad lectorem, p. 7 ➤ Fra Marte e Giove ho posto un nuovo pianeta [Inter Iovem & Martem interposui novum Planetam], e uno anche fra Venere e Mercurio, che devono essere invisibili a causa della loro piccola dimensione, e ho assegnato tempi periodici ad essi. Perché pensavo che in tal modo avrei prodotto qualche concordanza fra i rapporti, dato che i rapporti fra le coppie sarebbero stati rispettivamente ridotti in direzione del Sole e aumentati in direzione delle stelle fisse... L'interposizione di un singolo pianeta non fu ancora sufficiente per l'enorme intervallo fra Giove e Marte; perché il rapporto di Giove con il nuovo pianeta rimaneva più grande del rapporto di Saturno con Giove.
Prefatio ad lectorem, p. 8 ➤ Riuscii infine ad arrivare alla soluzione come per caso e ritenni che mi fosse accaduto per volere divino di scoprire casualmente ciò che non ero riuscito a determinare con tanta fatica.
Nel luglio 1595, mentre spiegava ai suoi allievi di Graz i cicli delle congiunzioni dei pianeti, fece un disegno che gli portò alla mente la serie dei cinque poliedri regolari (platonici) della geometria euclidea: tetraedro, cubo o esaedro, ottaedro, dodecaedro, icosaedro.
Prefatio ad lectorem, p. 10 ➤ Trascrivo ora, nella forma in cui allora lo concepii e scrissi, il mio enunciato: «L'orbe della Terra è la misura di tutti gli altri orbi. Circoscrivi ad essa un dodecaedro, la sfera che a sua volta lo circoscrive è quella di Marte. Alla sfera di Marte circoscrivi un tetraedro, la sfera che lo contiene è la sfera di Giove. Alla sfera di Giove circoscrivi un cubo, la sfera che lo racchiude sarà quella di Saturno. Nell'orbe della Terra inscrivi un icosaedro, la sfera inscritta in esso è quella di Venere. A Venere inscrivi un ottaedro, in essa sarà inscritta la sfera di Mercurio». Qui trovi la ragione del numero dei pianeti.
Keplero non pensava ancora a orbite ellittiche, ma a cerchi eccentrici; cercò di attribuire uno spessore alle sfere che contenevano i poliedri, in modo da adattarli alle eccentricità: rivedette le determinazioni di I02570 Copernico. Inoltre, fece un'ipotesi audacissima e rivoluzionaria: suppose che all'origine del moto ci fosse una speciale forza emanante dal Sole (anima motrix); ma non basta, cercò di determinare la legge secondo cui doveva funzionare questa forza, in modo da giustificare i moti osservati. Questo è quanto riuscì a fare I08898 Newton, che pubblicò la sua teoria del 1687. Il tentativo di Keplero, quasi un secolo prima, fu pasticciato e erroneo, ma degno della massima ammirazione. Keplero suppose che l'anima motrix fosse inversamente proporzionale al cerchio su cui doveva diffondersi, sicché diminuiva al crescere della distanza. Nello stesso tempo il periodo aumentava con la lunghezza della circonferenza; « perciò la maggiore distanza dal Sole agisce due volte nell'accrescere il periodo, e inversamente la metà dell'aumento del periodo è proporzionale all'aumento della distanza. » Il principio è sbagliato e anche la sua applicazione, ma inchiniamoci di fronte a questo sorprendente e innovativo tentativo.
L'incontro con I01496 Tycho Brahe, giunto a Praga, gli consentì di ottenere dei risultati ben più sostanziosi, che pubblicò nel libro {B-0001.00_.1609} "Astronomia nova ..., seu physica coelestis, tradita commentariis de motibus stellae martis" (1609).
Nell'anno 1600, Tycho e un'altro assistente, Christen Sørensen Longberg (detto I07467 Longomontanus), stavano lavorando alla teoria del moto di Marte, e Keplero fu assegnato allo stesso monumentale compito. Tycho, che era permaloso e geloso delle sue osservazioni, diede a Keplero un limitato accesso alle osservazioni quest'ultimo pianeta, e il loro rapporto fu indubbiamente teso certe volte; alla morte di Tycho (1601), Keplero ritornò con entusiasmo ai suoi studi su Marte. Mentre Copernico aveva preso il Sole medio (punto fittizio) invece del Sole vero come centro dei moti planetari, Keplero subito lo corresse facendo passare il piano dell'orbita della Terra attraverso il Sole vero. Scoprì che così veniva eliminata una spuria variazione dell'inclinazione, introdotta da Copernico. Questa fu un'importante scoperta, ma era solo l'inizio.
Gli antichi greci ritenevano che il moto, assolutamente circolare, dovesse apparire uniforme solo se veniva osservato non dal centro, ma da un punto determinato opportunamente, punctum equans. Questo principio era ancora imperante nelle teoria dell'epoca di Keplero, ma questi era convinto di dover lasciare da parte tutte le vecchie regole, pur di arrivare alla verità. Arrivò ad una meravigliosa scoperta, oggi insegnata come seconda legge di Keplero, ma per lui fu la prima. Il centro del moto dei pianeti è il Sole, non il fantomatico punctum equans, ma quello che varia in modo uniforme in funzione del tempo non è l'angolo descritto dal raggio vettore Sole-pianeta, bensì l'area "spazzata" da questo raggio. Una legge nuova, elegante, a cui nessuno aveva pensato: la "legge delle aree".
Avendo distrutto dei principi millenari, Keplero decise di tentare di tracciare la forma dell'orbita senza qualsiasi preconcetto su quale avesse dovuto essere. Con laboriosissimi calcoli, fu in grado di ricavare la distanza di Marte dal Sole in vari punti della sua orbita: scoprì che era sempre inferiore di quella che avrebbe dovuto essere se l'orbita fosse stata circolare; sembrava che fosse un ovale di qualche tipo. Suppose, come artificio di calcolo, che fosse un'ellisse (la più semplice e "nobile" delle curve genericamente dette ovali) e su quest'ipotesi fondò i suoi esperimenti (non sapendo che aveva in mano la risposta che andava cercando). Essendo stremato dai calcoli, li mise da parte per tutto il 1603, applicandosi all'ottica.
Ritornando alla "guerra con Marte" all'inizio del 1604, Keplero riprese a lavorare sull'ipotesi dell'orbita ovale, finché per caso si imbatté in un risultato che faceva parte delle prerogative dell'ellisse: ecco l'ovale che andava cercando! « Mi risvegliai come da un sogno e una nuova luce cadde su di me. » Dopo alcuni altri tentativi, giunse alla sua grande scoperta: l'orbita di Marte è una perfetta ellisse, con il Sole in uno dei fuochi.
Keplero realizzò che ciò valeva anche per gli altri pianeti: tutti seguono orbite ellittiche. Ma si rese conto che, se invece di Marte avesse studiato un altro pianeta, con un'altra eccentricità, non sarebbe arrivato al risultato: pag. 53 ➤ « Per poter arrivare alla comprensione fu assolutamente necessario prendere il moto di Marte come base, altrimenti questi segreti sarebbero rimasti eternamente nascosti. »
Keplero aveva scoperto le sue prime due leggi del moto planetario nel 1605, e aveva anche finito di scrivere un grande libro, che gli avrebbe dato l'immortalità, ma non vide subito la luce. L'Imperatore Rodolfo era cronicamente a corto di fondi, e non aveva abbastanza soldi per finanziare tutte le sue battaglie sulla Terra, men che meno quella fra le stelle; persino i soldi per pubblicare il libro di Keplero tardarono ad arrivare, ma finalmente nel 1609 fu stampato il capolavoro {B-0001.00_.1609} "Astronomia Nova".
Il resto della vita di Keplero fu piena di prove. Il suo salario era continuamente in arretrato, la sua prima moglie (che disprezzava il suo lavoro) soffrì di crisi epilettiche (a causa delle quali fu accusata di stregoneria) e infine morì, e i suoi tre figli soccombettero al vaiolo. Dal 1612 Praga stessa iniziò a divenire un campo di battaglia, e Keplero fuggì a Linz, in Austria. Nonostante tutto, Keplero continuò i suoi laboriosi calcoli, e nel 1618 arrivò alla scoperta della sua terza legge del moto planetario - la cosiddetta legge armonica: Il quadrato del periodo di rivoluzione è proporzionale al cubo della distanza media dal Sole. La pubblicò nel libro {B-0060.00_.1619} "Harmonices Mundi" (1619):
L'incontro con I01496 Tycho Brahe, giunto a Praga, gli consentì di ottenere dei risultati ben più sostanziosi, che pubblicò nel libro {B-0001.00_.1609} "Astronomia nova ..., seu physica coelestis, tradita commentariis de motibus stellae martis" (1609).
Nell'anno 1600, Tycho e un'altro assistente, Christen Sørensen Longberg (detto I07467 Longomontanus), stavano lavorando alla teoria del moto di Marte, e Keplero fu assegnato allo stesso monumentale compito. Tycho, che era permaloso e geloso delle sue osservazioni, diede a Keplero un limitato accesso alle osservazioni quest'ultimo pianeta, e il loro rapporto fu indubbiamente teso certe volte; alla morte di Tycho (1601), Keplero ritornò con entusiasmo ai suoi studi su Marte. Mentre Copernico aveva preso il Sole medio (punto fittizio) invece del Sole vero come centro dei moti planetari, Keplero subito lo corresse facendo passare il piano dell'orbita della Terra attraverso il Sole vero. Scoprì che così veniva eliminata una spuria variazione dell'inclinazione, introdotta da Copernico. Questa fu un'importante scoperta, ma era solo l'inizio.
Gli antichi greci ritenevano che il moto, assolutamente circolare, dovesse apparire uniforme solo se veniva osservato non dal centro, ma da un punto determinato opportunamente, punctum equans. Questo principio era ancora imperante nelle teoria dell'epoca di Keplero, ma questi era convinto di dover lasciare da parte tutte le vecchie regole, pur di arrivare alla verità. Arrivò ad una meravigliosa scoperta, oggi insegnata come seconda legge di Keplero, ma per lui fu la prima. Il centro del moto dei pianeti è il Sole, non il fantomatico punctum equans, ma quello che varia in modo uniforme in funzione del tempo non è l'angolo descritto dal raggio vettore Sole-pianeta, bensì l'area "spazzata" da questo raggio. Una legge nuova, elegante, a cui nessuno aveva pensato: la "legge delle aree".
Avendo distrutto dei principi millenari, Keplero decise di tentare di tracciare la forma dell'orbita senza qualsiasi preconcetto su quale avesse dovuto essere. Con laboriosissimi calcoli, fu in grado di ricavare la distanza di Marte dal Sole in vari punti della sua orbita: scoprì che era sempre inferiore di quella che avrebbe dovuto essere se l'orbita fosse stata circolare; sembrava che fosse un ovale di qualche tipo. Suppose, come artificio di calcolo, che fosse un'ellisse (la più semplice e "nobile" delle curve genericamente dette ovali) e su quest'ipotesi fondò i suoi esperimenti (non sapendo che aveva in mano la risposta che andava cercando). Essendo stremato dai calcoli, li mise da parte per tutto il 1603, applicandosi all'ottica.
Ritornando alla "guerra con Marte" all'inizio del 1604, Keplero riprese a lavorare sull'ipotesi dell'orbita ovale, finché per caso si imbatté in un risultato che faceva parte delle prerogative dell'ellisse: ecco l'ovale che andava cercando! « Mi risvegliai come da un sogno e una nuova luce cadde su di me. » Dopo alcuni altri tentativi, giunse alla sua grande scoperta: l'orbita di Marte è una perfetta ellisse, con il Sole in uno dei fuochi.
Keplero realizzò che ciò valeva anche per gli altri pianeti: tutti seguono orbite ellittiche. Ma si rese conto che, se invece di Marte avesse studiato un altro pianeta, con un'altra eccentricità, non sarebbe arrivato al risultato: pag. 53 ➤ « Per poter arrivare alla comprensione fu assolutamente necessario prendere il moto di Marte come base, altrimenti questi segreti sarebbero rimasti eternamente nascosti. »
Keplero aveva scoperto le sue prime due leggi del moto planetario nel 1605, e aveva anche finito di scrivere un grande libro, che gli avrebbe dato l'immortalità, ma non vide subito la luce. L'Imperatore Rodolfo era cronicamente a corto di fondi, e non aveva abbastanza soldi per finanziare tutte le sue battaglie sulla Terra, men che meno quella fra le stelle; persino i soldi per pubblicare il libro di Keplero tardarono ad arrivare, ma finalmente nel 1609 fu stampato il capolavoro {B-0001.00_.1609} "Astronomia Nova".
Il resto della vita di Keplero fu piena di prove. Il suo salario era continuamente in arretrato, la sua prima moglie (che disprezzava il suo lavoro) soffrì di crisi epilettiche (a causa delle quali fu accusata di stregoneria) e infine morì, e i suoi tre figli soccombettero al vaiolo. Dal 1612 Praga stessa iniziò a divenire un campo di battaglia, e Keplero fuggì a Linz, in Austria. Nonostante tutto, Keplero continuò i suoi laboriosi calcoli, e nel 1618 arrivò alla scoperta della sua terza legge del moto planetario - la cosiddetta legge armonica: Il quadrato del periodo di rivoluzione è proporzionale al cubo della distanza media dal Sole. La pubblicò nel libro {B-0060.00_.1619} "Harmonices Mundi" (1619):
➤ Se volete conoscere il momento preciso, sappiate che fu il 18 marzo 1618. Concepita, ma male eseguita, respinta come falsa, tornata il 15 maggio con nuova vivacità, essa ha dissipato le tenebre del mio spirito. E' così pienamente confermata dalle osservazioni di Tycho, che credevo di sognare e di fare qualche petizione di principio. Ma è una cosa certissima ed esattissima, che la proporzione fra i tempi periodici di due pianeti è precisamente "sesquialtera" [nel rapporto di 3 a 2] della proporzione delle loro distanze medie.
L'astronomo tedesco si rimise all'opera per risolvere i quesiti proposti nel "Mysterium Cosmographicum" e giunse ad un risultato che a lui parve entusiasmante ma oggi ci lascia sconcertati. Assunse, sia pure come ipotesi astratta, che i pianeti emettessero una specie di musica (armonia) in virtù della loro velocità variabile lungo l'orbita. Con argomentazioni una più singolare dell'altra, stabilì quali avrebbero dovute essere le note a seconda del pianeta e della sua velocità. Saturno e Giove sarebbero stati dei bassi, Marte un tenore, Venere e Terra dei contralti, Mercurio un soprano. Calcolò infine quali avrebbero dovute essere le distanze medie e le eccentricità dei pianeti in modo che essi soddisfacessero i requisiti dell'armonia; con sua enorme soddisfazione, i risultati furono in eccellente accordo con le osservazioni di Brahe. Dopo che ci ha donato le vere leggi del moto, frutto di un eroico lavoro, possiamo rimproverargli di aver assecondato sino all'ultimo i suoi sogni giovanili? Se non avesse rincorso i suoi sogni, non sarebbe arrivato alle leggi reali, attraverso calcoli estenuanti.
Nel 1626, Linz cadde in assedio e Keplero fu costretto a fuggire ancora. Infine trovò rifugio alla corte del generale in capo delle armate del Sacro Romano Impero, Albrecht von Wallenstein, nel suo recentemente formato ducato di Sagan, in Slesia. Un anno più tardi, Keplero pubblicò le sue lungamente attese tavole del moto planetario, le Tavole Rodolfine, così chiamate in nome del suo primo patrono, che era morto nel 1612. Ma le croniche preoccupazioni finanziarie e il superlavoro iniziarono a far sentire i loro effetti. Finalmente, nell'ottobre 1630, iniziò un viaggio da Sagan a Ratisbona, dove sperava di conferire con l'Imperatore per ottenere un'altra residenza, ma le fatiche del viaggio furono superiori alle sue forze, e dopo una breve malattia egli morì il 15 novembre 1630.
Nel 1626, Linz cadde in assedio e Keplero fu costretto a fuggire ancora. Infine trovò rifugio alla corte del generale in capo delle armate del Sacro Romano Impero, Albrecht von Wallenstein, nel suo recentemente formato ducato di Sagan, in Slesia. Un anno più tardi, Keplero pubblicò le sue lungamente attese tavole del moto planetario, le Tavole Rodolfine, così chiamate in nome del suo primo patrono, che era morto nel 1612. Ma le croniche preoccupazioni finanziarie e il superlavoro iniziarono a far sentire i loro effetti. Finalmente, nell'ottobre 1630, iniziò un viaggio da Sagan a Ratisbona, dove sperava di conferire con l'Imperatore per ottenere un'altra residenza, ma le fatiche del viaggio furono superiori alle sue forze, e dopo una breve malattia egli morì il 15 novembre 1630.
§ I01496 I02570 I03631 I06347 I07467 I08898
§ {B-0001.00_.1609} {B-0004.00_.1596} {B-0060.00_.1619}
§ {B-0001.00_.1609} {B-0004.00_.1596} {B-0060.00_.1619}